Gli Occhiali - Racconto

 

 

GLI OCCHIALI

 

Totò l'ha presa brutta stasera.  Di solito il vino lo porta bene, anzi gli dà tono, brillantezza e splendore.  Anche questa bevuta sembrava iniziata sotto gli auspici migliori, ma, nel previsto imprevedibile, ha avuto un esito disastroso.  Nel retro della taverna, tetto a schiacciare e aria densa di fumo di sigari e frizzante di vapori fuoriuscenti dai boccali stracolmi e trasparenti, con gli inseparabili di ogni sera, ha intonato e stonato canzoni, riso a pieno cuore, scherzato e cianciato spensierato, fino al decimo o al quindicesimo brindisi.  D'improvviso gli è calata addosso la malinconia.  All'inizio un senso di languore e debolezza.  Quasi uno sforzo sovrumano levare in alto il bicchiere e tracannare.  Poi l'avvocato comincia a dare fastidio, con la sua saccenteria e le sue storie a partenza lontana.  Anche Gino, il fruttivendolo, scoccia con la sua lagna sulla gamba che non gli funziona.  Non parliamo di Elio, narcisisticamente proteso a rievocare le sue prodezze amatorie.  Rompe persino "micetto", nobilmente impegnato a tenere alto il morale, con barzellette che non fanno ridere neanche i polli.  Da fucilazione continuata gli altri tavoli, con il loro incessante brusio di lazzi idioti o incomprensibili.  Prima non finiva mai in tristezza, anzi un senso di leggerezza, di amore, amicizia solidale, fiducia...persino serenità.  Al rientro in casa, addirittura, eccellenti prestazioni sessuali.  Da anni, ormai, anche quest'attività ginnico-sportiva definitivamente preclusa.  E non solo perché Audenzia si gira dall'altro lato, nauseata dal suo alito, ma anche per il sonno che lo vince appena stende la testa sul guancia le. Del resto è l'unica soluzione per non sentire i clienti che entrano ed escono da Giovannina, nella stanza adiacente, o da Maria, nell'angusta soffitta, attraverso il ballatoio.

 

 

 

Bestemmia.  Come ogni notte, bestemmia per avvertire che rincasa.  Bestemmia Dio e la Madonna, mentre barcolla e si appoggia alle cantonate, per non scivolare.  Come ogni notte, si autoburla che questa è l'ultima bevuta.  Se la prende con Audenzia, colpevole di non aspettarlo sveglia e in piedi.  La minaccia, riprende a bestemmiare.  Finalmente si cheta a ronfare.

 

 

La donna è seduta al Caffè della Stazione Centrale di Milano da quasi un paio d'ore.  Totò ha visto avvicendarsi molti avventori, ai tavoli vicini. Alcuni si sono alzati, affrettandosi ai treni, altri sono ancora a bere e fumare, per ingannare l'attesa.  La donna è relativamente giovane.  Potresti darle dai venticinque ai trent'anni.  Inforca occhiali da sole, dietro cui si intravedono pupille mobili e vivaci, anche se non se ne distingue il colore.  I capelli sono biondo-chiari, lunghi, ma raccolti sulla nuca da una fettuccia azzurra.  Il viso è dolce, quasi bello, ma poco curato, senza un pizzico di crema sulla pelle o un filo,di rossetto sulle labbra sottili.  Corpo snello, ma non scarno; fianchi slanciati e sottili; armoniose curve indovinabili sotto una tunica lunga, che scende rettilinea fin sotto le ginocchia, lasciando scorgere soltanto due gambe rotonde e diritte.  La donna tiene lo sguardo fermo nel fondo dei bicchiere vuoto, dal quale si distrae, di tanto in tanto, per aspirare una boccata di fumo e rivolgere un'occhiata, stanca e distratta, alla gente in transito ritmato.  Intorno, un cocktail di anonimi individui vanno e vengono rapidi, chi a testa bassa e silenzioso, chi conversando con il vicino.  La donna spegne la sigaretta nel liquore dei bicchiere, prende la borsa, la apre, tira fuori lo specchietto e vi si immerge per qualche secondo.  Ripone la borsa sulla sedia accanto, scioglie i morbidi capelli, balza sul tavolo e lancia gli occhiali tra la folla.  Qualcuno, dai tavoli vicini, drizza la testa, stizzito, e torna a rivolgersi in altre direzioni.  La donna lascia scivolare la tunica ed appare senza mutande né reggiseno.  I passanti accelerano l'andatura.  Un tale sbircia e fruga di rapina.  Un anziano signore, marsina e bombetta, sfiorandola con le falde - Signorina, così lei rischia il raffreddore! -

 

Totò la scruta, immobile e impalata per più di un'ora.  Le sue pupille nuotano nel bianco. I suoi occhi, un tempo avevano ammaliato, sconvolto, sedotto, ma ora sono tristi e stanchi.  Non luccicano più come una volta, quando gli bastava uno sguardo intenso per far innamorare una donna.  Nei tavoli adiacenti i clienti si avvicendano, ma nessuno accarezza le forme sinuose della donna, né la degna di attenzione.  I suoi profondi occhi azzurri scintillano e la massa dorata di capelli le pende flessuosa sui turgidi capezzoli rosei.  A tratti, la donna piagnucola, sorride, singhiozza, sghignazza, rimpiange forse, infine ride ancora.  A tarda sera, quando gli avventori si fanno rari, si accosta un cameriere: - Tredici gintonic e sei grappe, giusto, signora?  In tutto, sono trentaseimila. -

 

La donna discende dal tavolo, si riveste, riannoda i capelli, prende la borsetta e porge un cinquantamila al cameriere - Tenga pure il, resto. -

 

Raccoglie gli occhiali, buttati ai piedi dei tavolino, si alza e si avvia verso l'uscita della Stazione Centrale.

 

Chissà come e perché Totò la segue.  Quasi una forza magnetica, lo attrae l'azzurro della fettuccina, tra i capelli d'oro.  Sotto i portici, alla luce giallognola dei lampioni, un bocciolo di giglio attrae la sua attenzione.  Totò ne accarezza, delicato, il biancore, si inebria totalmente dei suo odore.  Esitante, ne scuote il cilindrico caule, stacca l'odorosissimo grappolo terminale e lo offre alla donna che barcolla sotto i portici della Stazione.

 

La donna lo accarezza con i suoi occhi dolci e buoni e gli porge la mano.

 

Ora, sotto la luce dei lampioni, si sostengono, quasi diritti, verso le strisce pedonali.  Al verde dei semaforo attraverseranno il traffico caotico, non più soli.

 

                                                                                    Enzo Randazzo