Storia del progetto
In questa sezione puoi descrivere la storia del tuo progetto e i motivi della sua creazione. È adatto per menzionare le varie tappe del progetto e i collaboratori.
PRESENTAZIONE DEL ROMANZO “DON ADALGISO E FANTASIMA SARACINA”
di Enzo Randazzo -Iuculano Editore-Pavia,
programmata per il 14 Ottobre 2006 ore 16,00 presso l’auditorium San Giovanni Battista ex “Chiesa Vecchia” di Predore ( BG)
VINCENZO RANDAZZO
È nato a Sambuca di Sicilia il 4/1/1949, dove risiede abitualmente, in Corso Umberto I 159, con la moglie Francesca
Bilello, ordinaria di Lettere nei Licei, con la figlia Anna Maria, ingegnere chimico, Stefania, laureata in Medicina e Chirurgia,
e Nicola, studente di Liceo Classico.
Ha frequentato il Liceo Classico “T.Fazello” di Sciacca e la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, dove, il19/06/1971, ha conseguito la laurea in Lettere con 110/110 e lode.
È ordinario di Italiano e Latino presso Liceo Scientifico di Menfi ed è stato più volte membro di Commissioni di Esami e
Concorsi.
Ha coniugato l’attività di studioso di problemi letterari storici e filosofici, con l’impegno socio - politico e l’amore per il
teatro. Si é interessato di E. Navarro della Miraglia ed ha pubblicato, nel 1973, un’analisi critica del romanzo “la Nana
“,di cui ha anche curato la riduzione teatrale, in collaborazione con Nino Bellitto.
Attualmente è Delegato di zona dei Lions club, Presidente, dalla fondazione, del Premio Letterario Internazionale “Navarro”,
VI edizione, nonché Presidente e Direttore Artistico del Teatro Stabile L’Idea. Negli anni ’70 è stato animatore dell’ “
Incontro” ed oggi di “Adranon”, Centro studi ed attività teatrali, con significativa presenza giovanile. Si è impegnato
attivamente in politica ed é stato Presidente del Coll. Sindacale e Consigliere della Cantina Cellaro, segretario della DC
sambucese e vicesegretario provinciale della D.C-agrigentina e candidato alla Camera.
PUBBLICAZIONI
1973~Cultura tradizionale e verismo ne “La Nana”-di Emanuele Navarro della Miraglia – Saggio - Ed. La Voce.
1986 ~ La Palude—romanzo -Ed. Vittorietti Palermo.
1986 - L’Onorevole Liccasarda – Commedia - Ed. Adranon - Agrigento.
1986 – La Nana- rid.teatr.dal rom. di E .Navarrro - Ed.La Voce.
1994 - Storia di Sambuca di Sicilia a cura del Lions Club di Sambuca Belice - Service distrettuale.
1994 - Rosa Trapani - Enzo Randazzo - Sóren Kierkegaard~ Saggistica - Ed.Cutura Duemila-RG -
1995 - Vincenza Abruzzo - Enzo Randazzo – L’impegno cristiano per la vita - educazione al valori come prevenzione del
fenomeno droga - Saggistica - Ed. L’autore Libri - Firenze
2000 - Sicilia, my love - Fantasima Saracina - Commedie - ed. Auriga - Siracusa
2002 - Petali di sole - Silloge - ed. C. S. G. Pastore - Agrigento
2002 - Petali di sole - Romanzo - ed. Auriga - Siracusa
ANTOLOGIE
Repertorio di poesia contemporanea~ Antares- cd. Ursini - Catanz.aro
I Contemporanei - Ed.G.E.V.-Marcon (VE)-Cinque Terre-Ed.La Magra – Zappa – Sarzana ~
Kaliggi- ed. I.T.C.O. - Gaggi(Me)-
Tempo Poetico - Ed.Arte cultura – Milano –
Premio Manzoni - Prov.Azzurra - Stresa~
Selezione poetica contemporanea ~ ed.Carello ~ Catanzaro-
Germano d’argento - Montaldo di Cerrina (AL).
Poeti e scrittori di ieri e di oggi –Ed. M.E.M. - Firenze
Parnaso italiano, a cura di S.Natale - Ed.Carello - Catanzaro
Poeti e scrittori allo specchio - Ed. La Ginestra - Arezzo-
Voci per la poesia - Liceo “G.Peano” Tortona.
PREMI
1975 ~ 2° Premio Intern. di Poesia “Sicilia 75”-ASLA~Palermo.
1977 - Gran Premio “Italia 77” al racc.”Acqua e sapone” Portici
1980 - 1°Class. al Premio Teatr.”Vita” per “La Nana” -Salemi.
1981-Finalista alla Rass.Naz.Teatr.Dial.”Sicilia Nova” Roma.
1983 – 3° Class. con “Julie”,al Premio Racconto “CESI” - Palermo.
1993 – 2° Cl. con “La Palude” - Premio Narr.” LEV TOLSTOJ” Roma.
1993 – 3° Class, con Petali di sole ~ Poesia Magna Grecia – Catanz.
1993 – 3° Class. Premio Nuovi Orizz. Poesia Sorrento.
1993 – 1° Class.Trofeo Adriatico con l’on. Liccasarda - Comm.- Roma
1993~Premio Spec. Poesia Kaliggi - Gaggi(ME).
1993 – 3° Class. “CASENTINO, con il racc. Oretta - Poppi(AR).
1994 - VII Edizione Premio Europeo di poesia - A. Moro - Lecce
1994 - 12' Premio “F.Barganga Pontedera
1994 - Premio Intern. “L’Iride” Cava de Tirreni
1994 – XlI Premio per la pace - Cultura e società - Torino
2003 - Premio Bufalino per il romanzo “Sicilia, my love”- Acc. Il rombo - Caserta
2003 - Premio Parole ed immagini - Boves
2005 - Premio Sicilia Bedda per il romanzo “Don Adalgiso e Fantasima Saracina” - Santa Margherita - Il Gattopardo
GIUDIZI CRITICI.-
MARCO VERONESI:” ... immaginazione e vivacità intellettiva sono le sue migliori doti creative...”
ENRICO SOMMA:” ... l’opera di Enzo Randazzo si caratterizza per la fusione di modernità e senso storico del folclore,
favola ed impegno, immaginazione e profondo sentimento della realtà umana...”
LICIA CARDILLO:” ... avvince per la complessità del tema, lo humour con cui tratta i problemi sociali e la scioltezza
dei dialogo...”
ELISA VIOLA:” ... linguaggio fluido, arricchito da frasi del parlato ... lessico impegnato e ricercato...”
MARILU’ GUELI:” ... nelle cose umili, quotidiane, familiari, l’autore condensa il senso della storia ... in un nido,,
non più inteso come spazio limitante da cui evadere, ma come luogo sicuro in cui proteggersi da violenze e brutture”
PIETRO MAZZAMUTO:” ... Enzo Randazzo si é impegnato nella ricostruzione storico-culturale di personaggi e ambienti,
con un risultato apprezzabile per la copiosa documentazione su cui si fonda...”.
DINA BONGIORNO:” ... Enzo Randazzo non ha paura di porsi davanti alla verità dell’individuo,della propria società e
del suo tempo...persuaso che il futuro gli appartiene...”.
MARIA MARGHERITA FAZIO:” ... si avverte la sensazione che la vita é dolore, ingiustizia, paura, ma anche amore,
bellezza, ansia di libertà...”.
Filippo Salvato: “La Storia di Sambuca ..convince che é giusto conservare per i propri figli e per la scuola la memoria
lunga della Città...”
Mons.G.Petralla : “ L’indagine ... descrive accuratamente tutte le manifestazioni dei disagio giovanile .... e affronta
egregiamente la ricostituzione dei rapporto con la famiglia”
Saverio Natale : “... é inoltre da sottolineare la sicura efficacia comunicativa e l’indubbia validità artistica della poesia di
Enzo Randazzo...”
Giovanni Nocentini: “ ... ricrea situazioni d’ambiente, d’atmosfera vissuta con immedesimazione scenica, attenzione al
linguaggio, alla tensione che attiri il lettore e lo coinvolga nella vicenda che attesta l’eterna giostra dei sentimenti umani...”
PRESENTAZIONI
PRESENTAZIONE A ROMA - Antica Libreria Croce
Ieri, 30 maggio, alle ore 18,00, presso la prestigiosissima, Antica Libreria Croce di Roma, davanti ad un qualificato ed attentissimo
pubblico, è stato presentato l’ultimo romanzo di Enzo Randazzo: “Don Adalgiso e Fantasima Saracina”.
Erano presenti, tra gli altri, il regista cinematografico Nanni Moretti, gli attori Lando Buzzanca, Virginia Barret e Iana Corcione, i pittori
Mimmo Conte e Vincenzo Sciamè, gli scrittori Germano Costa, Franca Mancini, Paolo Calligarigh, Fiorella Giovannelli.
Nel corso della manifestazione si è svolto anche un recital di testi con l’applauditissima lettura di brani selezionati a cura degli attori
Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini.
Ha dato il suo benvenuto nella capitale il Dr. Nino Palermo, Assessore al Municipio - Centro Storico, evidenziando l’incisivo ruolo di
Enzo Randazzo nel promuovere, con la sua ricca produzione letteraria, un’immagine della Sicilia inedita, affascinante e moderna.
Ha proseguito rimarcando la carriera letteraria dello scrittore siciliano, i numerosi e significativi Premi letterari ricevuti (Tolstoi, Casentino,
Trofeo Adriatico, Casentino, Bufalino, etc) , il profondo e coerente impegno sociale ed umano ed ha messo in risalto i lusinghieri giudizi
sulla sua produzione espressi da Enzo Lauretta, che parla di “...ricca immaginazione e vivacità intellettiva... slancio, freschezza ... e
profondità di sentimenti...” e da Lando Buzzanca, il quale considera Don Adalgiso e Fantasima Saracina “ …un romanzo da leggere
tutto d’un fiato e paradossalmente da assaporare, da gustare in un tempo, assolutamente soggettivo … audace, spregiudicato, vibrante
e sorprendente… in cui i tremori più inconsci e profondi, le passioni più ossessive e turbinose si risolvono in rapidi mutamenti di scene
ed in imprevedibili sviluppi.... Una storia d’amore e di fede intensa e lacerante. Di paure e di amori. Di misteri e di avventure. Di rumori
terrificanti e di risate a crepapelle… dentro uno spazio narrativo aperto ed anticonvenzionale.”.
Il Dr. Nino Palermo ha evidenziato che, come tutti gli autori siciliani, Enzo Randazzo ci presenta dei personaggi che si trovano in conflitto
con i meccanismi sociali, esprime una concezione dubitativa della Storia ed è alla ricerca di una morale priva di restrizioni. Nelle sue opere
precedenti, e anche in questa, ci descrive una Sicilia priva di elementi folcloristici, tuttavia reale, con tutte le sue ferite; e al tempo stesso
mitica, atemporale.Quali sono i pregi di questo libro? Anzitutto la fascinazione della storia raccontata e poi l’impianto narrativo: il romanzo
è costruito sull’alternarsi degli incontri amorosi di Don Adalgiso e Fantasima, di scoppiettanti dialoghi fra i personaggi, di digressioni
descrittive e salti temporali. Infine c’è l’introspezione dei personaggi, sofferta e generosamente offerta al lettore.Tutto ciò attraverso una
scrittura paragonabile a un sentiero che si snoda in pianura e che all’improvviso diventa dissestato, obbliga il lettore a rallentare, a
percorrere dei gradoni, a riflettere su singole parole. L’intreccio è relativamente semplice. Una “Fantasima Saracina”, sospesa tra gli anni
della dominazione saracena e un presente non ben definito, passa come una folata di vento nella vita di Zabut, nome dell’antica Sambuca
di Sicilia, travolgendo col fuoco della passione la vita del parroco della Chiesa Madre, Don Adalgiso.Don Malachia, vecchio amico di Don
Adalgiso e ora suo compagno di vizi, si accompagna invece con Chimera, giovane e spensierata amica di Fantasima. Anche alla più
“adulta” Sonia è legata da un’amicizia intessuta di battibecchi, di complicità femminile e di affetto solidale per la precarietà della loro
condizione.Non conosciamo la decisione finale di Don Adalgiso se proseguire sulla strada della passione o fare atto di contrizione e
tornare alla vita di sempre: il lettore lo scoprirà solo nelle ultime pagine.Don Adalgiso è dilaniato fra “le ragioni dello spirito e le ragioni
dell’esistenza”, fra l’essere sacerdote e l’essere uomo, fra il sacro e il profano, che si mescolano inestricabilmente persino nel
linguaggio.Fantasima invece cerca l’amore di Don Adalgiso come un assetato cerca l’acqua nel deserto: per non morire. Fantasima è un
personaggio straordinario: da un lato una creatura in carne ed ossa, bella e sensuale, dall’altro è una figura eterea, irreale. Come un
riflesso fosforescente, come una nube di vapori: un’entità la cui esistenza è legata a un filo. Il filo dell’amore di Don Adalgiso, pronto a
spezzarsi rischiando di sprofondarla nuovamente nel nebuloso passato dal quale proviene. E lei si oppone strenuamente al destino
ineluttabile dell’oblio.Lungi dal trasfigurare eccessivamente l’ambiente, i personaggi, gli eventi, l’Autore ci tiene ben ancorati alla terra
descrivendo gli amplessi clandestini dei due amanti con dovizia di particolari e riportando puntualmente le parole che usano, prive dei
freni inibitori della comune decenza. Come un fiume sotterraneo che di tanto in tanto sale in superficie, la passione viene infatti
rappresentata senza veli, in tutta la sua genuinità e impudicizia, con un linguaggio esplicito, a volte estremamente ardito, a volte ricco di
poesia, quella poesia che solo la visione di un corpo femminile nudo è in grado di suscitare.
Il relatore, Nuccio Fava, ex direttore di Rai 1, ha evidenziato che solo apparentemente si tratta della storia di un uomo, di un prete, ma al
contempo è la storia di chi si pone interrogativi sull’esistenza, sui conflitti ancestrali tra la spiritualità e la carnalità, tra l’apparire e l’essere,
tra la fede ed una sua
possibile rilettura critica… la lettura del testo è interpretabile partendo dalle emozioni…
Ha dato rilievo, altresì, alla continuità culturale, ma anche agli elementi innovativi di rottura e di discontinuità delle opere di Enzo
Randazzo rispetto alla tradizionale sicilitudine, da Pirandello, a Sciascia, a Cammilleri. Mentre negli scrittori siciliani citati il progetto di
vita resta incompiuto, Enzo Randazzo risolve i conflitti dei suoi personaggi, che scelgono al via dell’autenticità e della libertà. Da
quest’ultimo romanzo viene fuori una Sicilia aperta ed antitradizionalista, forte delle sue consapevolezze culturali ma anche disponibile
a progettualità significative.
La possibilità di uscire da logiche intellettualizzate, razionali e incasellanti, è la risorsa principe del romanzo. Come ben evidenziato dalla
psicologa Arianna Ditta, lavorare sulle proprie emozioni, renderle intelligibili, senza restarne vittime inconsapevoli, appare il filo conduttore
del testo. ….Don Adalgiso e Fantasima Saracina è un romanzo da leggere tutto d’un fiato e paradossalmente da assaporare, da
gustare in un tempo, assolutamente soggettivo.
La storia è quella dell’umana fragilità, di un tempo e di uno spazio contrisi di fronte alla caducità dell’uomo.
Nel romanzo si legge di passione, di spiritualità e di crisi, ma, secondo Nuccio Fava, l’erotismo non è mai gratuito o fine a se stesso; l’eros
è platonicamente la naturale forza di un amore intenso e spirituale, una spinta al cambiamento e alla ricerca di senso esistenziale.
Un erotismo superiore a quello di Brancati, alla sensualità del Gattopardo, che consente di superare un certo fatalismo pessimistico e
rassegnato della Sicilia di Sciascia, il buio ripetitivo di Camilleri e si collega alla multiforme verità dei personaggi di Luigi Pirandello.
E’ una Sicilia fatta di odori, di sapori e di colori, di detti e di espressioni, quella raccontata da Randazzo. E’ una incarnazione della stessa
ancora più forte, umana e contraddittoria fino all’essenza delle sue viscere. …Una sicilianità incarnata da Don Adalgiso. Un prete, ma
soprattutto un uomo. Un uomo in contrasto tra la fede per la sua Chiesa e la passione folle, viscerale ed intensa per una donna. Tra la
spiritualità e la carnalità. Quale tra le due avrà la meglio è compito del lettore scoprirlo, ma ciò che più attrae del romanzo è la possibilità
di una sua collocazione temporale assolutamente imprevedibile. È un romanzo potenzialmente collocabile in uno spazio tempo che
raccorda presente, passato e futuro. Ciò a cui rimanda la lettura sono, infatti, luoghi e contesti, spazi, colori e sapori facilmente rintracciabili
nel nostro passato più arcaico, nelle nostre arabeggianti radici, nelle nostre “paesane” dimensioni e diversità. …..colpisce, in particolare,
la figura di Fantasima. Donna – spirito dalla personalità intrigata ed intrigante. Tentatrice, seducente e contraddittoria come solo una
donna sa essere. Dolce, tenera ed accogliente come solo una donna che ama può divenire. Fantasima incarna un ideale che è anche
corporeo, tangibile e materiale. È indebolita dall’amore e fortificata dalla delusione dell’abbandono. È un masso impazzito, staccatosi da
una montagna, in grado di trascinare dietro di sé tutto ciò che incontra sul suo cammino. È una femminilità che sa di cunicoli, di meandri
sotterranei ed impervi, ma a cui l’amore dà luce e dimensione terrena. È una donna che può diventare una piuma leggera e incorporea, se
confermata nei sentimenti e dall’amore. L’amore per Adalgiso. Un amore controverso e sfumato, ma violento ed estremo allo stesso
tempo. “Fantasima Saracina” racconta l’eterna lotta dell’uomo tra le sue dicotomie, tra il corpo e la mente, la passione e la spiritualità,
l’egoismo e l’amore per gli altri, la donazione e la rinuncia.
E’ un romanzo forte, diretto, a tratti violento, ironico e dalle forti tinte, ma meritevole di saper leggere con sagacia nella profondità
dell’animo umano.
Fava condivide l’analisi del critico Daniela Rizzuto la quale ha sottolineato che, leggendo questo nuovo romanzo di Randazzo, ciò che
immediatamente colpisce è lo scarto, la differenza contenutistica e stilistica rispetto al precedente romanzo Sicilia my love: lì la storia era,
infatti, giocata tutta sull’alternanza tra piano divino e piano umano, qui invece il testo è incentrato su una dicotomia esclusivamente
umana: quella della scelta tra lo spirito e la carne, tra la passione torbida e travolgente del corpo e l’anelito alla purezza dell’anima,
all’Assoluto che ci avvicina a Dio. La storia è, infatti, quella di un giovane prete, Don Adalgiso, appunto, che si lascia tentare dal fascino
ammaliatore di Fantasima, probabile reicarnazione di Milù, una principessa Saracena violentata e uccisa dai Cristiani….…due presenze
“scomode” sono Fantasima, amante di Don Adalgiso, e Chimera, amante di Don Malachia, e risultano essere – come appare dai loro stessi
nomi, che sono appunto nomina loquentia – impalpabili presenze, quasi avanzi di Storia che non hanno corporeità fisica se non nel loro
essere tentatrici, ammaliatrici……Il romanzo si presenta come un intreccio di piani narrativi, in cui il sentimento dominante è costituito
dalla paura: paura che si sveli l’inganno, paura del disonore, paura della punizione, paura dei fantasmi, paura dell’amore, paura della vita.
E l’autore…si vale spessissimo del procedimento della focalizzazione interna: sono i personaggi stessi a parlare… secondo modi che
obbediscono all’analogia ed all’aggregazione, all’associazione di idee e al libero fluire della memoria… la successione cronologica viene
spezzata dall’inserimento di flash-back: Si assiste infatti ad un intreccio di due piani narrativi, quello del presente, di gran lunga il più
evidente e il più semplice da leggere, e quello passato, un passato mitico, astorico, di Milù, che ritorna con la sua sofferenza e il suo
esempio……l’autore usa uno stile spezzato, interrotto, una sintassi nominale con frequenti ellissi del verbo (pochissimi infatti i verbi,
molti i nomi e gli aggettivi), che procede quasi per impressioni visive, per immagini colte e fotografate, per percezioni appena abbozzate;
e la lettura diventa così più affascinante, più intrigante… Il lessico è vario, ricco e articolato, con accumulazioni d’effetto degli aggettivi,
e dimostra la straordinaria duttilità con cui l’autore usa la lingua… Randazzo riesce a delineare scenari e situazioni con eccezionale vigore
icastico… costruendo vere e proprie “tirate” quasi shakesperiane… Il limite demarcatorio tra passato e presente viene … superato dalla
presenza di luoghi evocativi e quasi arcani… Il paesaggio siciliano… lungi dall’essere mera cornice spaziale del racconto, perde la
semplice connotazione geografica per assurgere a simbolo universale dello scontro fra dominazioni diverse eppure uguali… il romanzo
è intriso di reminiscenze letterarie, classiche e moderne, che vengono metabolizzate nel testo… Onofrio è un degno erede del servus
currens di Plauto e la dicotomia stessa di cui è vittima Don Adalgiso è di stampo vagamente petrarchesco (ricorda quasi le pagine del
Secretum); la Nemesi divina ricorda un po’ l’Eschilo dei Persiani…“Don Adalgiso e Fantasima Saracina” è un viaggio verso l’abisso, che
si trasforma in cammino iniziatico… un percorso violento, forte, tormentato, sconvolgente… verso la redenzione, verso l’Assoluto, verso
un Dio puro, verso l’amore. Sembra quasi, mutatis mutandis, una sorta di Divina Commedia, che parte da un Inferno materialisticomeccanicistico,
per arrivare alla redenzione dell’anima, al Paradiso… Romanzo che infatti si chiude con un capitolo chiamato “Alba”,
quasi la speranza di un nuovo giorno, un giorno bello, positivo, che vedrà la metamorfosi totale del protagonista, avvenuta grazie
all’amore, sola forza del mondo. In un periodo di intolleranze e di estremismi come il nostro, il romanzo, col suo messaggio di fondo, un
messaggio di amore e di gioia, di integrazione e di fratellanza, si rivela moderno e attuale, e ci fa riflettere, ancora una volta, sull’essenza
dell’esistenza umana.
Dopo i ringraziamenti di Enzo Randazzo, che ha firmato con dedica copie del romanzo, la serata si è conclusa con una cenetta a Trastevere
ed i cannoli di ricotta siciliani offerti dall’autore.
PRESENTAZIONE A MILANO Libreria RIZZOLI Galleria Vitt. Emanuele
Ieri, 19 febbraio, alle ore 16,30, presso la prestigiosissima Libreria Rizzoli di Milano davanti ad un qualificato ed attentissimo pubblico,
è stato presentato l’ultimo successo letterario di Enzo Randazzo: “Don Adalgiso e Fantasima Saracina”.
Erano presenti, tra gli altri, i Consiglieri Comunali di Sambuca Leo Ciaccio e Giuseppe Gigliotta, il manager della Sanità dr. Lillo Craparo,
l’assessore al Turismo di Menfi Carmen Pendola, il direttore artistico del Parco Letterario “Il Gattopardo” dr. Tanino Bonifacio, il regista
teatrale Giancarlo Zanetti, gli attori Pino Misiti, Virginia Barret e Beatrice Grandi, i pittori Fabio Roncato e Franco Farina, gli scrittori
Franca Mancini, Massimiliano Finazzer, Fiorella Giovannelli.
Nel corso della manifestazione si è svolto anche un recital di testi con l’applauditissima lettura di brani selezionati a cura degli attori Rosi
Lovisi ed Andrea Saccoman, dell’Università Bocconi di Milano.
Ha dato il suo benvenuto nella capitale lombarda il prof. Gianni Curami dell’Università di Brescia, evidenziando l’incisivo ruolo di Enzo
Randazzo nel promuovere, con la sua ricca produzione letteraria, un’immagine della Sicilia inedita, affascinante e moderna.
Ha proseguito rimarcando la carriera letteraria dello scrittore siciliano, i numerosi e significativi Premi letterari ricevuti (Tolstoi, Casentino,
Trofeo Adriatico, Casentino, Bufalino, Sicilia Bedda, etc), il profondo e coerente impegno sociale, educativo ed umano ed ha messo in
risalto i lusinghieri giudizi sulla sua produzione espressi da Enzo Lauretta, che parla di “...ricca immaginazione e vivacità intellettiva...
slancio, freschezza ... e profondità di sentimenti...” e da Lando Buzzanca, il quale considera Don Adalgiso e Fantasima Saracina “ …
Dopo i ringraziamenti di Enzo Randazzo, che ha firmato con dedica copie del romanzo, la serata si è conclusa con i dolcini di mandorla
siciliani offerti dall’autore un romanzo da leggere tutto d’un fiato e paradossalmente da assaporare, da gustare in un tempo, assolutamente
soggettivo … audace, spregiudicato, vibrante e sorprendente… in cui i tremori più inconsci e profondi, le passioni più ossessive
e turbinose si risolvono in rapidi mutamenti di scene ed in imprevedibili sviluppi.... Una storia d’amore e di fede intensa e lacerante. Di
paure e di amori. Di misteri e di avventure. Di rumori terrificanti e di risate a crepapelle… dentro uno spazio narrativo aperto ed
anticonvenzionale”.
Il Prof. Gianni Curami ha evidenziato che, come nota efficacemente Simonetta Genova, Enzo Randazzo ci presenta dei personaggi che
si trovano in conflitto con i meccanismi sociali, esprime una concezione dubitativa della Storia ed è alla ricerca di una morale priva di
restrizioni. Nelle sue opere precedenti, e anche in questa, ci descrive una Sicilia priva di elementi folcloristici, tuttavia reale, con tutte le
sue ferite; e al tempo stesso mitica, atemporale. Una Sicilia, terra di incontro e di sintesi delle più fiorenti civiltà Mediterranee, che appare
oggi l’avamposto più avanzato del dialogo con l’Africa ed il Medio Oriente. Quali sono i pregi di questo libro? Anzitutto la fascinazione
della storia raccontata e poi l’impianto narrativo: il romanzo è costruito sull’alternarsi degli incontri amorosi di Don Adalgiso e Fantasima,
di scoppiettanti dialoghi fra i personaggi, di digressioni descrittive e salti temporali. Infine c’è l’introspezione dei personaggi, sofferta e
generosamente offerta al lettore. Tutto ciò attraverso una scrittura paragonabile a un sentiero che si snoda in pianura e che all’improvviso
diventa dissestato, obbliga il lettore a rallentare, a percorrere dei gradoni, a riflettere su singole parole. L’intreccio è relativamente
semplice. Una “Fantasima Saracina”, sospesa tra gli anni della dominazione saracena e un presente non ben definito, passa come una
folata di vento nella vita di Zabut, nome dell’antica Sambuca di Sicilia, travolgendo col fuoco della passione la vita del parroco della
Chiesa Madre, Don Adalgiso. Don Malachia, vecchio amico di Don Adalgiso e ora suo compagno di vizi, si accompagna invece con
Chimera, giovane e spensierata amica di Fantasima. Anche alla più “adulta” Sonia è legata da un’amicizia intessuta di battibecchi, di
complicità femminile e di affetto solidale per la precarietà della loro condizione. Non conosciamo la decisione finale di Don Adalgiso
se proseguire sulla strada della passione o fare atto di contrizione e tornare alla vita di sempre: il lettore lo scoprirà solo nelle ultime
pagine. Don Adalgiso è dilaniato fra “le ragioni dello spirito e le ragioni dell’esistenza”, fra l’essere sacerdote e l’essere uomo, fra il sacro
e il profano, che si mescolano inestricabilmente persino nel linguaggio. Fantasima invece cerca l’amore di Don Adalgiso come un
assetato cerca l’acqua nel deserto: per non morire. Fantasima è un personaggio straordinario: da un lato una creatura in carne ed ossa,
bella e sensuale, dall’altro è una figura eterea, irreale. Come un riflesso fosforescente, come una nube di vapori: un’entità la cui esistenza
è legata a un filo. Il filo dell’amore di Don Adalgiso, pronto a spezzarsi rischiando di sprofondarla nuovamente nel nebuloso passato dal
quale proviene. E lei si oppone strenuamente al destino ineluttabile dell’oblio. Lungi dal trasfigurare eccessivamente l’ambiente, i
personaggi, gli eventi, l’Autore ci tiene ben ancorati alla terra descrivendo gli amplessi clandestini dei due amanti con dovizia di
particolari e riportando puntualmente le parole che usano, prive dei freni inibitori della comune decenza. Come un fiume sotterraneo che
di tanto in tanto sale in superficie, la passione viene infatti rappresentata senza veli, in tutta la sua genuinità e impudicizia, con un
linguaggio esplicito, a volte estremamente ardito, a volte ricco di poesia, quella poesia che solo la visione di un corpo femminile nudo è
in grado di suscitare.
Il relatore, Prof. Antonino Rosalia, redattore della prestigiosa Rivista Letteraria “Il Castello”, ha evidenziato che solo apparentemente si
tratta della storia di un uomo, di un prete, ma al contempo è la storia di chi si pone interrogativi sull’esistenza, sui conflitti ancestrali tra
la spiritualità e la carnalità, tra l’apparire e l’essere, tra la fede ed una sua possibile rilettura critica. Il romanzo aliena, coinvolge, affascina
e sconvolge il lettore. Aliena con la freschezza e la crudezza dello stile con cui presenta la realtà; coinvolge ed avvinghia nei colloqui
scoppiettanti; affascina con la sua trama profonda ed articolata; sconvolge e turba per la veemenza degli stimoli della carne e per la
crudezza delle scene violente.
Rosalia ha dato rilievo, altresì, alla continuità culturale, ma anche agli elementi innovativi di rottura e di discontinuità delle opere di Enzo
Randazzo rispetto alla tradizionale sicilitudine, da Pirandello, a Sciascia, a Cammilleri. Mentre negli scrittori siciliani citati il progetto di
vita resta incompiuto, Enzo Randazzo risolve i conflitti dei suoi personaggi, che scelgono al via dell’autenticità e della libertà. Da
quest’ultimo romanzo viene fuori una Sicilia aperta ed antitradizionalista, forte delle sue consapevolezze culturali ma anche disponibile
a progettualità significative.
La possibilità di uscire da logiche intellettualizzate, razionali e incasellanti, è la risorsa principe del romanzo. Come già evidenziato dalla
psicologa Arianna Ditta, lavorare sulle proprie emozioni, renderle intelligibili, senza restarne vittime inconsapevoli, appare il filo conduttore
del testo. ….Don Adalgiso e Fantasima Saracina è un romanzo da leggere tutto d’un fiato e paradossalmente da assaporare, da
gustare in un tempo, assolutamente soggettivo. La storia è quella dell’umana fragilità, di un tempo e di uno spazio contrisi di fronte alla
caducità dell’uomo.
Nel romanzo si legge di passione, di spiritualità e di crisi, ma, secondo Antonino Rosalia, l’erotismo non è mai gratuito o fine a se stesso;
l’eros è platonicamente la naturale forza di un amore intenso e spirituale, una spinta al cambiamento e alla ricerca di senso esistenziale. Un
erotismo superiore a quello di Brancati, alla sensualità del Gattopardo, che consente di superare un certo fatalismo pessimistico e
rassegnato della Sicilia di Sciascia, il buio ripetitivo di Camilleri e si collega alla multiforme verità dei personaggi di Luigi Pirandello.
Un’accattivante “rappresentazione dell’equilibrio tra i contrari”: così si manifesta l’opera letteraria di Enzo Randazzo ad una comune
lettrice immersa nella nebbia padana che da qualche anno aspira ad avvicinarsi a tutto quello che è Sicilia, quale il critico letterario dr.ssa
Valeria Grassini. L’autore ottiene quest’equilibrio di contrari anche e soprattutto con la magia che crea con la propria vena inventiva e
artistica, che gli consente di contrapporre giochi di parole piccanti e grossolani alle minuziose descrizioni sulla fragilità umana di ciascuno
dei suoi personaggi, di accostare il comico genuino e popolaresco presente nell’evoluzione del romanzo assieme a tutta la drammaticità
della Storia della principessa Saracena violentata ed uccisa dai Cavalieri Cattolici.
E’ una Sicilia fatta di odori, di sapori e di colori, di detti e di espressioni, quella raccontata da Randazzo. E’ una incarnazione della stessa
ancora più forte, umana e contraddittoria fino all’essenza delle sue viscere…Una sicilianità incarnata da Don Adalgiso. Un prete, ma
soprattutto un uomo. Un uomo in contrasto tra la fede per la sua Chiesa e la passione folle, viscerale ed intensa per una donna. Tra la
spiritualità e la carnalità. Quale tra le due avrà la meglio è compito del lettore scoprirlo, ma ciò che più attrae del romanzo è la possibilità
di una sua collocazione temporale assolutamente imprevedibile. È un romanzo potenzialmente collocabile in uno spazio tempo che
raccorda presente, passato e futuro. Ciò a cui rimanda la lettura sono, infatti, luoghi e contesti, spazi, colori e sapori facilmente rintracciabili
nel nostro passato più arcaico, nelle nostre arabeggianti radici, nelle nostre “paesane” dimensioni e diversità...colpisce, in particolare, la
figura di Fantasima. Donna – spirito dalla personalità intrigata ed intrigante. Tentatrice, seducente e contraddittoria come solo una donna
sa essere. Dolce, tenera ed accogliente come solo una donna che ama può divenire. Fantasima incarna un ideale che è anche corporeo,
tangibile e materiale. È indebolita dall’amore e fortificata dalla delusione dell’abbandono. È un masso impazzito, staccatosi da una
montagna, in grado di trascinare dietro di sé tutto ciò che incontra sul suo cammino. È una femminilità che sa di cunicoli, di meandri
sotterranei ed impervi, ma a cui l’amore dà luce e dimensione terrena. È una donna che può diventare una piuma leggera e incorporea, se
confermata nei sentimenti e dall’amore. L’amore per Adalgiso. Un amore controverso e sfumato, ma violento ed estremo allo stesso
tempo. “Fantasima Saracina” racconta l’eterna lotta dell’uomo tra le sue dicotomie, tra il corpo e la mente, la passione e la spiritualità,
l’egoismo e l’amore per gli altri, la donazione e la rinuncia.
E’ un romanzo forte, diretto, a tratti violento, ironico e dalle forti tinte, ma meritevole di saper leggere con sagacia nella profondità
dell’animo umano.
Per Valeria Grassini il libro costringe a conciliare due ritmi di lettura: il lettore si sente trascinato con la forza a saltare velocemente tra le
righe per seguire le vicende dei personaggi e contemporaneamente desidera costringersi a frenare la velocità per assaporare la pienezza
e la ricchezza dei dialoghi e delle descrizioni, da centellinarsi a lenti e piccoli sorsi. E tutto ciò che si assapora è squisitamente e totalmente
siciliano, grazie alla passione che chi scrive non nasconde per la sua terra; i paesaggi, le visioni suscitate, le liriche appena percepite
eppure così presenti, il paese con le sue vie e i suoi vicoli, la piazza e la scuola, la cattedrale e la processione, gli usi e i costumi, le
conversazioni, tutto è siciliano, e non potrebbe essere altrimenti. Il lettore riesce a “vivere” le terre dell’autore e a calarsi pienamente in
esse grazie alla creatività verbale che ogni singola situazione del romanzo sa sprigionare. Una creatività verbale manifesta anche nei
neologismi, parole che il lettore accetta come essenziali ed ovvie per il significato che l’autore assegna loro.
Il finale, come vuole ogni commedia che si rispetti, dovrebbe essere lieto.
E in effetti è lieto, per lo meno per i personaggi minori, a cui l’autore regala ciò che ciascuno di loro desidera perché gli è affezionato.
Forse, però, il libro non è una commedia e, quindi, per Don Adalgiso e Fantasima Saracina il lieto fine non è dovuto. Forse il romanzo è
la rappresentazione di tutto ciò che è umano, con tutti i contrasti, le incoerenze e le assurdità che comporta la vita. E tutte le contraddizioni
che agitano l’esistenza dell’uomo l’autore le cala sulla scena: forse i veri protagonisti della storia non sono i personaggi, bensì i
problemi che agitano la loro esistenza come l’amore, la paura, la morte, l’amicizia, la necessità del perdono, la difficoltà di vivere, e in senso
più allargato la convivenza tra i popoli, la conflittualità tra il mondo islamico e quello occidentale, la Chiesa e il celibato dei preti, la droga.
D’altra parte anche il nome del personaggio principale,
Adalgiso, che significa “ostaggio”, sta ad indicare l’incatenamento dell’uomo a tutte le sue passioni e le sue sofferenze.
In ogni caso un finale c’è, ma forse occorre interpretarlo. Forse l’autore ha scelto di far decidere il lettore, proponendogli gli ultimi due
episodi che reggono benissimo un parallelo anziché una sequenza temporale.
Però, a ben guardare, forse anche il finale non è altro che un altro degli equilibri tra i contrasti, forse proprio quello principale, implicito ma
così manifesto.
E lo si può percepire anche dai titoli posti all’inizio e alla fine del libro: “Compieta”, che rappresenta l’ultimo Ufficio religioso della
giornata, e “Alba”, il segno di un nuovo giorno dopo la notte precedente. Forse l’autore, mettendo in risalto l’alternarsi tra il giorno e la
notte, suggerisce come entrambi siano naturali ed indispensabili per l’uomo, e come questi non possa fare a meno né dell’uno né
dell’altra.
D’altronde “Egli ha creato sia il sole che la luna. Con studiata consapevolezza. Perciò entrambi Egli ama.…Nella sua Onniveggenza non
esiste rischio né possibilità di peccato per gli uomini [perché] quando ci ha creati sapeva bene come ci faceva.”
Valeria Grassini condivide l’analisi del critico Daniela Rizzuto la quale ha sottolineato che, leggendo questo nuovo romanzo di
Randazzo, ciò che immediatamente colpisce è lo scarto, la differenza contenutistica e stilistica rispetto al precedente romanzo Sicilia my
love: lì la storia era, infatti, giocata tutta sull’alternanza tra piano divino e piano umano, qui invece il testo è incentrato su una dicotomia
esclusivamente umana: quella della scelta tra lo spirito e la carne, tra la passione torbida e travolgente del corpo e l’anelito alla purezza
dell’anima, all’Assoluto che ci avvicina a Dio. La storia è, infatti, quella di un giovane prete, Don Adalgiso, appunto, che si lascia tentare
dal fascino ammaliatore di Fantasima, probabile reicarnazione di Milù, una principessa Saracena violentata e uccisa dai Cristiani…due
presenze “scomode” sono Fantasima, amante di Don Adalgiso, e Chimera, amante di Don Malachia, e risultano essere – come appare dai
loro stessi nomi, che sono appunto nomina loquentia – impalpabili presenze, quasi avanzi di Storia che non hanno corporeità fisica se
non nel loro essere tentatrici, ammaliatrici…Il romanzo si presenta come un intreccio di piani narrativi, in cui il sentimento dominante è
costituito dalla paura: paura che si sveli l’inganno, paura del disonore, paura della punizione, paura dei fantasmi, paura dell’amore, paura
della vita. E l’autore…si vale spessissimo del procedimento della focalizzazione interna: sono i personaggi stessi a parlare…secondo
modi che obbediscono all’analogia ed all’aggregazione, all’associazione di idee e al libero fluire della memoria…la successione cronologica
viene spezzata dall’inserimento di flash-back: Si assiste infatti ad un intreccio di due piani narrativi, quello del presente, di gran lunga il
più evidente e il più semplice da leggere, e quello passato, un passato mitico, astorico, di Milù, che ritorna con la sua sofferenza e il suo
esempio…l’autore usa uno stile spezzato, interrotto, una sintassi nominale con frequenti ellissi del verbo (pochissimi infatti i verbi, molti
i nomi e gli aggettivi), che procede quasi per impressioni visive, per immagini colte e fotografate, per percezioni appena abbozzate; e la
lettura diventa così più affascinante, più intrigante… Il lessico è vario, ricco e articolato, con accumulazioni d’effetto degli aggettivi, e
dimostra la straordinaria duttilità con cui l’autore usa la lingua…Randazzo riesce a delineare scenari e situazioni con eccezionale vigore
icastico…costruendo vere e proprie “tirate” quasi shakesperiane…Il limite demarcatorio tra passato e presente viene…superato dalla
presenza di luoghi evocativi e quasi arcani…Il paesaggio siciliano…lungi dall’essere mera cornice spaziale del racconto, perde la
semplice connotazione geografica per assurgere a simbolo universale dello scontro fra dominazioni diverse eppure uguali…il romanzo è
intriso di reminiscenze letterarie, classiche e moderne, che vengono metabolizzate nel testo… Onofrio è un degno erede del servus
currens di Plauto e la dicotomia stessa di cui è vittima Don Adalgiso è di stampo vagamente petrarchesco (ricorda quasi le pagine del
Secretum); la Nemesi divina ricorda un po’ l’Eschilo dei Persiani…“Don Adalgiso e Fantasima Saracina” è un viaggio verso l’abisso, che
si trasforma in cammino iniziatico…un percorso violento, forte, tormentato, sconvolgente…verso la redenzione, verso l’Assoluto, verso
un Dio puro, verso l’amore. Sembra quasi, mutatis mutandis, una sorta di Divina Commedia, che parte da un Inferno materialisticomeccanicistico,
per arrivare alla redenzione dell’anima, al Paradiso…Romanzo che infatti si chiude con un capitolo chiamato “Alba”,
quasi la speranza di un nuovo giorno, un giorno bello, positivo, che vedrà la metamorfosi totale del protagonista, avvenuta grazie
all’amore, sola forza del mondo. In un periodo di intolleranze e di estremismi come il nostro, il romanzo, col suo messaggio di fondo, un
messaggio di amore e di gioia, di integrazione e di fratellanza, si rivela moderno e attuale, e ci fa riflettere, ancora una volta, sull’essenza
dell’esistenza umana.
L’Associazione Culturale “Il Carrozzone” presenta il libro
“Don Adalgiso e Fantasima Saracina”
di Enzo Randazzo
- Iuculano Editore Palermo, 21 aprile 2005 Libreria Kalèsa, ore 17 Con la gentile collaborazione del “Centro delle Arti Teatrali”
Enzo Randazzo è uno scrittore siciliano e un personaggio molto attivo nella vita sociale e culturale del suo paese, Sambuca
di Sicilia.
La passione per la lettura lo ha accompagnato fin dall’infanzia; di conseguenza, ha avuto l’occasione di conoscere le opere
dei grandi autori stranieri e di quelli siciliani, come Tomasi di Lampedusa, Sciascia e Camilleri. Pur sentendosi piccolo in confronto
ai grandi, ha intrapreso la strada di un “vizio”, quello della scrittura, a cui è rimasto sempre fedele: inizialmente collaborando a
testate giornalistiche, poi pubblicando saggi, commedie, romanzi che hanno ottenuto riconoscimenti e premi letterari.
Fra le sue pubblicazioni, ricordiamo: il racconto Oretta (Premio Casentino 1993); il romanzo La palude (Premio Lev Tolstoj
1993); le commedie L’onorevole Liccasarda (Trofeo Adriatico 1993), Sicilia, my love e Fantasima Saracina. Non ultima, una
raccolta in versi, Petali di sole, con la quale ha maturato la decisione di esporsi, di “consegnarsi nudo come un verme ai suoi lettori”
.DON ADALGISO E FANTASIMA SARACINA Romanzo di Enzo Randazzo
Lettura di Simonetta Genova
ÏCome tutti gli autori siciliani, Enzo Randazzo ci presenta dei personaggi che si trovano in conflitto con i meccanismi sociali, esprime una
concezione dubitativa della Storia ed è alla ricerca di una morale priva di restrizioni. Nelle sue opere precedenti, e anche in questa, ci
descrive una Sicilia priva di elementi folcloristici, tuttavia reale, con tutte le sue ferite; e al tempo stesso mitica, atemporale.
Quali sono i pregi di questo libro? Anzitutto la fascinazione della storia raccontata e poi l’impianto narrativo: il romanzo è costruito
sull’alternarsi degli incontri amorosi di Don Adalgiso e Fantasima, di scoppiettanti dialoghi fra i personaggi, di digressioni descrittive e
salti temporali. Infine c’è l’introspezione dei personaggi, sofferta e generosamente offerta al lettore.
Tutto ciò attraverso una scrittura paragonabile a un sentiero che si snoda in pianura e che all’improvviso diventa dissestato, obbliga il
lettore a rallentare, a percorrere dei gradoni, a riflettere su singole parole.
Dell’opera teatrale da cui è tratto, il romanzo conserva la freschezza, il gioco degli equivoci e dei doppi sensi, ma se ne distacca a favore
di uno sviluppo degli spunti tematici e degli aspetti psicologici. È un’opera che conduce il lettore in un territorio minato, offrendogli
anche delle occasioni comiche.
ÏL’intreccio è relativamente semplice. Una “Fantasima Saracina”, sospesa tra gli anni della dominazione saracena e un presente non ben
definito, passa come una folata di vento nella vita di Zabut, nome dell’antica Sambuca di Sicilia, travolgendo col fuoco della passione la
vita del parroco della Chiesa Madre, Don Adalgiso.
Don Malachia, vecchio amico di Don Adalgiso e ora suo compagno di vizi, si accompagna invece con Chimera, giovane e spensierata
amica di Fantasima. Anche alla più “adulta” Sonia è legata da un’amicizia intessuta di battibecchi, di complicità femminile e di affetto
solidale per la precarietà della loro condizione.
A gestire la trama di sotterfugi dei preti “traviati” (trama sul punto di esplodere come una bomba a orologeria) è il furbo sacrista, Onofrio,
servile e opportunista con Don Adalgiso come Iago lo è con Otello. La sua sfacciata attitudine all’imbroglio e alla menzogna si esprime
al meglio in occasione dell’imprevisto ritorno in paese dell’ingenuo e serio Vescovo, stordito da una girandola di invenzioni assurde
messa in piedi per impedirgli di scoprire la verità sui suoi sacerdoti.
Il Vescovo, che vediamo menato per il naso dal sacrista, è una figura autorevole: il lettore è in grado di comprendere i tratti della sua
personalità quando, scoperti tutti gli inganni, celebra un rituale di purificazione per Don Adalgiso “con benevolenza, stima e affetto”:
“Don Alfio era un prete d’azione e, nell’operatività quotidiana, pur di raggiungere un risultato positivo, non andava tanto per il sottile,
ma, quando celebrava un Rito, era di una meticolosità quasi pignolesca, perché era convinto che la forma, in tale frangente, è sostanza.
La puntualità dei suoi gesti, la profondità dei suoi occhi favorivano la concentrazione dei suoi assistenti ed in tutta la Chiesa il silenzio,
così totale che si sarebbe avvertito anche lo strusciare di un velo sulle panche, era infranto soltanto dall’Exurge Domine, intonato dai
Cantori, cui faceva da contrappunto l’Exaudi quaesemus Domine, cantato dal Vescovo.” (cap. XX)
Con i suoi gesti precisi e sicuri, il Vescovo è l’immagine speculare del parroco, alla ricerca invece di una fede autentica che vada al di là
di formule vuote e ripetitive.
A fare da contraltare al sacrista imbroglione, c’è invece la giovane zitella Crocifissa, anche lei molto legata a Don Adalgiso; bella ma
trascurata, incollerita e offesa dagli scherni e i maltrattamenti di Onofrio, soprattutto quando le vengono ricordate le sue origini contadine.
Negli ultimi capitoli compare un personaggio, Liliana, “fantasima” avvocata, che con l’aiuto della dialettica e delle sue grazie persuasive,
tenterà di convincere il Vescovo a perdonare le due pecorelle smarrite.
Non conosciamo la decisione finale di Don Adalgiso se proseguire sulla strada della passione o fare atto di contrizione e tornare alla vita
di sempre: il lettore lo scoprirà solo nelle ultime pagine.
ÏLa narrazione si svolge con un ritmo piano e gradevole, sul piano diacronico, finché l’Autore interrompe il flusso narrativo per rivelare
il passato della Fantasima: la storia d’amore fra un Principe cristiano e una Principessa Saracena, in seguito stuprata e uccisa. Un
flashback che ci porta in un’atmosfera incantata, una Sicilia piena di sole dove si svolge l’antefatto che sembra avere messo in moto la
storia. Ma anche una scena crudele grazie alla quale il lettore è bruscamente catapultato indietro, nelle pieghe della Storia.Lo stile è
caratterizzato da un periodare ricco e discorsivo; ma quando la tensione sale, o la coscienza del personaggio è lacerata e contusa,
compaiono frasi ellittiche e sincopate e un susseguirsi di parole singhiozzate che, estrapolate dal contesto, potrebbero assumere vita
propria come poesie. E qui risiede la bravura dell’Autore, capace di coniugare momenti di rilassata narrazione e momenti di cortocircuito
mentale, nei quali il pensiero dei personaggi, come paralizzato, si esprime in parole limpide e spigolose come cristalli di ghiaccio.
Dal punto di vista lessicale, l’Autore ci propone accostamenti singolari, personificazioni, sinestesie, immagini concrete che si scontrano
con idee astratte, paradossi linguistici, ossimori. Qualche esempio:
CAPITOLO X: “Il sacrista tornava al suo gioco preferito con le parole. Parole cosificate. Simili a sassolini.”
CAPITOLO VII: - “Una Fantasima è venuta a visitarlo in sogno. Entrando ha squarciato la luce. Sedie controvento. Derive rugiadose.
Deserti straripanti. Mari introvabili. Ringhiere scoccate. Stragi vocali.”
CAPITOLO X: “Monsignor Alfio Petrone era sempre più frastornato. Le parole di Onofrio gli rimbombavano martellanti nel cervello.
Quasi nomadi. Vive come ombre. Solitarie. Interdette. Costernate. Immagini della stessa proiezione acustica. ( … ) Onofrio tornò a dire la
verità senza dirla. Servendosi della magia menzognera delle parole. Dei diversi concetti che possiamo esprimere mettendo insieme gli
stessi suoni. Mezze parole. Trafficate. Balbettate. Farfugliate. Comprensibili in modi diversi e, in definitiva, incomprensibili.”
CAPITOLO XI: - “La vede la pittura? C’è una farfalla che si fa beffe di due gazze. ( … ) Onofrio entrava nel dipinto. A cercarne la voce
interiore. Il grano. Il velo. La risonanza. Il tono. La cartilagine che vibrasse.”
ÏSe ci interroghiamo sulla pertinenza del titolo dopo avere letto il romanzo, ci accorgiamo che non risulta del tutto facile individuare il
protagonista, in quanto Don Adalgiso ne è l’eroe maschile (possedendo tutte le caratteristiche dell’antieroe!).
Fantasima, che secondo la morale comune incarna le forze del male, riscatta la sua posizione non solo in base alla sua esistenza
precedente, ma anche e soprattutto per la sua forza vitale, per l’amore che è in grado di elargire, per il fascino che emana attraverso il suo
corpo e le sue parole. In breve, è un’eroina; ma paradossalmente è l’unico personaggio a non possedere neanche ciò che tutti possiedono:
un nome. A connotarla in tutto il romanzo, è la sua essenza di spettro.
Alla fine, si ha però l’impressione che protagonista del romanzo sia la passione, fuoco distruttivo per Don Adalgiso, essenza di vita per
Fantasima, manifesto di libertà per entrambi.
ÏIl romanzo si apre con la descrizione di Don Adalgiso, un parroco che svolge la sua missione sacerdotale con convinzione, serietà e
slancio spirituale. Viene descritto come “austero, arcigno e meditabondo” (cap. I); meticoloso e ordinato nel programmare la sua giornata;
attento ad evitare persino la vicinanza con una donna; è un uomo “riflessivo, serio e posato, forse un po’ triste e malinconico” (cap. III)
Al centro della vicenda narrata troviamo dunque Don Adalgiso, ma questa centralità vacilla sin dal primo capitolo, nella scena in cui
Fantasima stuzzica il parroco, apparentemente infastidito, scompigliando le pagine del suo Breviario con un soffio. Il lettore viene subito
avvertito che “La conosceva fin troppo bene”, dando così ad intendere che la storia era iniziata già prima che iniziasse il romanzo.
L’Autore ci dice nel quinto capitolo che
”Don Adalgiso aveva un cuore di leone ed un altro di somaro”, che “Ostentava spavalderia e menefreghismo, ma in lui affioravano anche
disorientamento e vistosi cali di zucchero. ( … ) La sua esperienza con Dio gli aveva fatto comprendere il senso più profondo del male,
( … ) ma l’amore per Fantasima aveva fatto naufragare la sua fede nell’oceano dei desideri.”
L’irruzione di Fantasima nella sua vita, però, lo aveva ricondotto a sé stesso. (cap. III)
Nel frattempo il segreto del parroco viene sfruttato da Onofrio, che approfitta delle sue debolezze e delle sue paure per mantenere saldo
il dominio che ha su di lui.
Di contro, le scorribande dei due sacerdoti, una volta scoperte, hanno sul Vescovo più che un effetto di sconforto: lo lasciano straniato,
annichilito, tanto più che lui stesso è a conoscenza del potere che i piaceri terreni possono avere su un religioso.
“Don Alfio avvertiva di trovarsi di fronte ad un mistero. Alla propria vulnerabilità. A qualcosa di oscuro che si annidava dietro questa
stessa vulnerabilità. Poco più di un’ombra della vita. Sospesa nei suoi occhi attoniti. Percepiva la propria ferita mortale. Coglieva
oscuramente la propria morte dentro la stessa vita. Si sentiva svuotato. Uguale a zero. Incapace di guardare serenamente nel futuro.
Remissivo. In un attimo di sospensione. Nella terribile tragedia di sentirsi fuori posto. Privo degli involucri di protezione consueti.” (cap.
XVIII)
Tornando a Don Adalgiso, nel momento in cui è costretto a fare i conti con sé stesso, la situazione paradossale in cui si trova gli si para
davanti in tutta la sua brutalità: si rende conto di non essere pronto a rinunciare né al suo amore, né all’abito che veste; ritiene che l’amore
coincide sempre col bene, qualunque ne sia l’oggetto: Dio o una donna. Nonostante il sentimento che lo travolge, continua a sentirsi
sacerdote nell’animo e ad orientare tutti i suoi pensieri, purificati dal pentimento e dalla contrizione, sempre verso Dio.
”Adalgiso era consapevole che il Vescovo aveva capito tutto e fra poco sarebbe arrivato il momento della resa dei conti. Non si sentiva
pronto a rinunciare all’abito talare. Il sacerdozio non è un ruolo politico o burocratico a tempo determinato. É un ufficio ed una dignità
perpetua ed inamovibile. Nessun essere vivente poteva togliere dalla sua anima il carattere sacerdotale che gli era stato irreversibilmente
impresso. Lui era un sacerdote. Dichiarava il sovrano ed universale dominio di Dio sulla propria persona. ( … ) Era bravissimo ad aiutare
il prossimo con la predicazione della Divina parola, con santi ragionamenti e con consigli spirituali. Ma amava anche Fantasima
perdutamente. ( ... ) Per lei avrebbe dato la sua giovinezza, un braccio, una gamba, la sua stessa vita, ma era altrettanto incapace di
compiere una scelta decisa e di rinunciare alla sua Chiesa. ( ... ) Qualsiasi scelta lo avrebbe lasciato monco. Non sapeva scegliere
consapevolmente. Non aveva mai avuto il coraggio di assumere atteggiamenti netti e responsabili. Ogni libertà è solo un’arrogante
illusione. ( … ) Tanto valeva un padrone maestoso come il suo Dio. Totalitario e pretenzioso, ma capace anche di esaltare speranze e
sicurezze. (cap. XVII)
Don Adalgiso è dilaniato fra “le ragioni dello spirito e le ragioni dell’esistenza”, fra l’essere sacerdote e l’essere uomo, fra il sacro e il
profano, che si mescolano inestricabilmente persino nel linguaggio.
Fantasima invece cerca l’amore di Don Adalgiso come un assetato cerca l’acqua nel deserto: per non morire.
“Fantasima già si sentiva eterea. Quasi priva di peso - Invece io amo l’autenticità e la schietta verità. I bugiardi, io non li sopporto. Né gli
adulatori, i lecchini e i calati - calati! - Sentiva la pelle sgranularsi. Un chiarore ovattato intrappolato nelle palpebre socchiuse - Se un
maschio mi ama profondamente, deve farlo senza alcuna riserva mentale. Come io lo amo. Con tutto il mio corpo e la mia anima. L’amore
è un bicchiere d’acqua da sorseggiare lentamente nel deserto. ( … )
Le sue parole, il profumo della sua pelle, i suoi immensi occhi azzurri, sfumanti nel verde, gli trasmettevano delle sensazioni intraducibili.
Come se cento spilli gli punzecchiassero le viscere. Avvertiva un vuoto nella bocca dello stomaco. Una sensazione di malessere
fisico.”(cap. III)
Fantasima è un personaggio straordinario: da un lato una creatura in carne ed ossa, bella e sensuale, dall’altro è una figura eterea, irreale.
Come un riflesso fosforescente, come una nube di vapori: un’entità la cui esistenza è legata a un filo. Il filo dell’amore di Don Adalgiso,
pronto a spezzarsi rischiando di sprofondarla nuovamente nel nebuloso passato dal quale proviene. E lei si oppone strenuamente al
destino ineluttabile dell’oblìo.
Davanti ai nostri occhi si dispiega un luminoso paesaggio femminile, seducente, dolce, dalle tinte forti, a tratti giocoso.
“I suoi lunghi capelli biondo cenere, raccolti in un elegante chignon che lasciava scoperto il lungo collo, le sopracciglia ad ala di
gabbiano, gli occhi azzurri leggermente a mandorla e la bocca carnosa e purpurea le davano un’aria esotica e sembravano sprigionare una
forza ipnotica. Con i sensi svegli, aspirava l’odore della sua traspirazione, pregnante ma meno aspro delle more del Serrone, che andava
a raccogliere da bambino.” (cap. I)
“Il suo profumo inconfondibile tornò ad inebriarlo e a stordirlo. Fantasima gli veniva incontro, avvolta da una lunga tunica bianca e
risplendente di una luce fosforescente. ( … ) - Sonia mia, per piacere: guarda se mi sta bene questa collana di lapislazzuli. Voglio farlo
uscire di senso Don Adalgiso, la luce dei miei occhi, il mio stregone. Che significa amarsi se non prendersi per mano e volare?” (cap. III)
Fantasima può essere vista come un’amara metafora di quelle identità femminili evanescenti, che assumono consistenza solo nel
momento in cui vengono considerate come oggetto d’amore. E sua terribile rivale, “totalitaria e pervasiva”, è nientemeno che la Chiesa.
Inoltre, Fantasima e le sue amiche rappresentano per i sacerdoti la materializzazione dei loro sogni, dei loro desideri irraggiungibili, dei loro
incubi, delle loro deprivazioni, delle loro colpe.
ÏL’ambiente che fa da sfondo alle vicende narrate è un paesino come se ne potrebbero incontrare a decine nella provincia siciliana. Nei
confronti della sua Sambuca e del crogiolo di personaggi che vi si incontrano, l’Autore rivolge uno sguardo irriverente, che coglie gesti
e rumori nascosti tra vicoli e mura. La campagna, d’altro canto, è irrisa oppure trasfigurata nella leggenda.
ÏGli spunti tematici presenti in questo romanzo sono numerosi. Dal punto di vista psicologico, oltre alle dinamiche fra i due sessi, ci sono
i rapporti di amicizia - rispettivamente maschile e femminile - che intrecciano solidarietà, complicità, ma anche rivalità e una sottile forma
di dipendenza.
Vi sono poi gli aspetti sociali: la crisi delle vocazioni, il ruolo della Chiesa nel tessuto sociale, il problema della differenza fra la religiosità
esibita e quella autenticamente sentita.
C’è il tema della diffusione delle droghe, trattato nel capitolo dedicato allo spacciatore Cerbero; c’è naturalmente il dibattito interculturale:
l’amore fra Don Adalgiso e Fantasima è un inno all’integrazione fra le culture.
Attraverso la narrazione dell’amore fra il Principe di Adranone e la Principessa Milù, veniamo anche a conoscenza di notizie storiche sulla
dominazione saracena.
Sulla sicilianità del libro non è necessario dilungarsi oltre: è sufficiente evidenziare la profusione di elementi linguistici popolari, soprattutto
proverbi, e citare la splendida descrizione dell’isola del sole, dai toni psichedelici, nel capitolo dedicato alla Principessa Saracena -
solarità che ha una rispondenza nella gioia di vivere dei protagonisti: “Milù annusò i petali del gelsomino inebriandosi del suo profumo,
mentre si stiracchiava pigra e indolente sull’amaca, agganciata tra il mandarino ed il cedro. L’Isola del sole era davvero un’Arabia più
dolce e sensuale: più violenta nei colori, ma tanto più fresca di ruscelli e sorgenti. Da quando vi aveva messo piede la Principessa
Saracena si sentiva più vitale e fiduciosa, carica di energie e immersa nella prospettiva di immaginazioni vaghe e scontornate. I suoi sogni
erano densi di nuvole pieghettate. Nei suoi orizzonti bianchi cavalli svolazzavano sulle colline verdeggianti e nanetti festosi saltellavano
tra papaveri e margherite.” (cap. XIII)
A volerli trovare, non mancherebbero altri riferimenti culturali. Ad esempio, quando Fantasima si prepara per uno degli incontri col suo
innamorato, si consiglia con l’amica Sonia “materna e protettiva” (come Giulietta che si confida con la sua balia), mentre Don Adalgiso,
non visto, la spia e beve le sue parole d’amore bruciando di impazienza e di passione. A un certo punto, Don Adalgiso (novello Romeo)
decide di palesare la sua presenza, proferisce a sua volta parole romantiche e passionali, dichiara di essere disposto a rinunciare alla sua
veste sacerdotale (come Romeo è pronto a “rinunciare al suo nome”).
ÏMa, lungi dal trasfigurare eccessivamente l’ambiente, i personaggi, gli eventi, l’Autore ci tiene ben ancorati alla terra descrivendo gli
amplessi clandestini dei due amanti con dovizia di particolari e riportando puntualmente le parole che usano, prive dei freni inibitori della
comune decenza. Come un fiume sotterraneo che di tanto in tanto sale in superficie, la passione viene infatti rappresentata senza veli, in
tutta la sua genuinità e impudicizia, con un linguaggio esplicito, a volte estremamente ardito, a volte ricco di poesia, quella poesia che
solo la visione di un corpo femminile nudo è in grado di suscitare.
“Pochissimi i peli ed un biancore di neve con una sfumatura di rosa, lamelle di carne delicate come labbra o petali di fiori, che invitavano
alle carezze.” (cap. I)
“Adalgiso le slacciò la camicetta azzurra e le sue mani si posarono su due gioielli di carne, grossi come il palmo della sua mano, sodi e
tesi.” (cap. III)
Sia ben chiaro: l’Autore non usa ammiccamenti né allusioni; indulge in torride descrizioni che piombano sul lettore come fulmini, ma non
sono di nocumento all’armonia complessiva del romanzo. C’è una inquietante continuità fra i passi più forti e il resto della narrazione:
l’oscenità e la spiritualità sono pericolosamente vicine.
“Don Adalgiso e Fantasima Saracina” è un romanzo capace di sconvolgere, di provocare, di scuotere. Il lettore rimane forse più scosso
nelle sue rassicuranti certezze dello stesso contesto sociale in cui si muovono i personaggi che, al di là del pettegolezzo di paese, è tutto
sommato condiscendente, se non addirittura complice, della trasgressione delle regole morali e religiose.
Il lettore viene calamitato dalla scrittura, per arrivare alla conclusione - scandalosa per un prete - che l’amore a qualsiasi livello, anche
quello passionale, coincide sempre col bene.
ÏNon manca una riflessione filosofica sul nome, sul nominare - e infatti nel nome di Fantasima è condensato il significato di tutto il
romanzo:
“Don Adalgiso li osservava divertito e compiaciuto.
E che fa di inusitato? Di dissonante dal banale? Una Fantasima è una Fantasima perché ogni tanto fantasimìa. Ogni nome si salda alla
vita.La sua forza irradiante e ammaliante la determina e la paralizza.
Chimera ascoltava a bocca aperta. Sbigottita e intontita. Le sfuggiva la forza del suo nome... La sua valenza nel mondo aperto. La sua
stessa natura era un enigma.
Ma, cara, che significa fantasimiàre?
Fantasima era certamente più consapevole della propria identità e condizione esistenziale. I suoi numerosi passaggi di stato e di
condizione l’avevano maturata.
Senza nomi saremmo muti. Illeggittimi. Isole incomunicabili. Scogli corrosi dai marosi. Con un nome il mondo ci riconosce e ci legittima a
esistere e a comunicare. Fantasimiàre è sconfinare. Uscire da noi stessi. Fantasimiàre è sognare. Fantasimiàre è impaludarsi. Perdersi
nell’infinito dello sguardo di Adalgiso. Fantasimiàre è sballarsi. Annullarsi nei vortici della nostra pazzia. Fantasimiàre è innamorarsi.
Illudersi d’essere immortali. Di sfuggire alla maledizione del tempo e della Storia. Se rifiutassimo di fantasimiàre, resteremmo senza forza.
Inerti e indefiniti. Sfibrati. Irriconoscibili e dimenticati. Su, svelto, Adalgiso! Non lasciarti irretire dall’opacità delle ombre. Passa in giro il
boccale e l’erba.” (cap. IV)
Come si accennava a proposito della protagonista femminile, gli stessi nomi attribuiti ai personaggi sono altamente significativi.
Rimandano alla sonnacchiosa e rassicurante quotidianità di un piccolo centro di provincia (Onofrio, Crocifissa, Adalgiso, Biagio);
rimbombano dell’autorevolezza della tradizione (Alfio Petrone) o delle origini bibliche (Don Malachia); rimandano a una dimensione
fiabesca (Falena, Lucciola) o a quella mitica e simbolica (Cerbero, Chimera).
È questa una storia affascinante e controversa. Due destini sono in bilico. L’uno dipende dall’altro. Per saperne di più, non resta
che leggere il libro…
1 APRILE 2005
Simonetta Genova
AGENZIA DI STAMPA QUOTIDIANA
DelL’ACADEMIA GENTIUM “PRO PACE “ - ROMA
AGENPP PRESS - ANNO XXVI. - N. 113 -
Roma 23.04.2005 – Sabato
Palermo, Aprile, 22. 2005 2. Anteprima Letteraria
Ecco che ieri a Palermo, natali di Roma, è suonata la Diana.
Ciò potrebbe indurre ad interpretazioni per un “ nostalgico passato “, ma nulla di più falso e, chi volesse indugiare sul quanto prenderebbe
immane abbaglio.
A Palermo dunque è suonata la Diana, essa ha suonato per annunciare un nuovo parto letterario presentato in anteprima nei locali della
Libreria del KURSAAL KALHESA; mai locali furono così a misura per un’anteprima tutta Siciliana in quanto questi, ospitanti la su citata
Libreria, erano una antichissimo arsenale mercantile che trovasi nel corpo della plurisecolare cinta murarla cittadina prospiciente l’azzurro
mare del Capoluogo Siciliano. Mai cornice è stata più affascinante per presentare il Romanzo”Don Adalgiso e Fantasima Saracina”
creatura nata, come Minerva dal Capo dì Zeus, dalla fertile mente del Professor Enzo RANDAZZO, cittadino di Sambuca di Sicilia ( AG
), docente di Lettere nei Licei, autore e regista teatrale, saggista e commediografo, poeta e romanziere sperimentalista ed autore di altre
opere gratificate dal:- Premio Tolstoi, Casentino, Bufalino,Trofeo Adriatico, etc.
L’opera ha avuto, possiamo dire senza tema di smentita, una presentazione veramente eclettica e ben articolata poiché ogni lettura dei
brani era alternata dalla mimica coordinata da Tersicore che rendeva lo spettatore partecipe dello spirito del romanzo. Prima di ben
spendere due righi sul lavoro del Prof. Randazzo, ritengo doveroso enunciare tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione
dell’Anteprima.
Coordinatrice Prof/ssa Anna Mauro Regista; Interventi e testimonianze Prof/ssa Simonetta Genova Ass. Cult. “ Il Carrozzone “ , Dr/ssa
Arianna Ditta Psicologa, Prof/ssa Daniela Rizzato Critico Letterario, Prof. Aldo Gerbino Università dì Palermo ed infine “Il Carrozzone’
e “Centro delle Arti Teatralb”’ che hanno reso possibile la lettura dei brani del romanzo unitamente alla rappresentazione mimico/
Tersicorea.
Molto succintamente si riporta la descrizione del romanzo usando le appropriate parole della Dr/ssa Arianna Ditta: “È un romanzo
potenzialmente collocabile in uno spazio tempo che raccorda presente, passato e futuro. Ciò a cui rimanda la lettura sono, infatti, luoghi
e contesti, spazi, colori e sapori facilmente rintracciabili nel nostro passato più arcaico, nelle nostre arabeggianti radici, nelle nostre
“paesane” dimensioni e diversità….“Fantasima Saracina” racconta l’eterna lotta dell’uomo tra le sue dicotomie, tra il corpo e la mente, la
passione e la spiritualità, l’egoismo e l’amore per gli altri, la donazione e la rinuncia.
· E’ un romanzo forte, diretto, a tratti violento, ironico e dalle forti tinte, ma meritevole di saper leggere con sagacia nella profondità
dell’animo umano.” NOTITIARUM SCRIPTOR MILVLUS ACADEMICUS GENTIUM PRO PACE
Roma condita A.D. MCMLXVII
RELAZIONI
Prefazione di Lando Buzzanca
Audace, spregiudicato, vibrante e sorprendente. Una storia d’amore e di fede intensa e lacerante. Di paure e di amori. Di misteri e di
avventure. Di rumori terrificanti e di risate a crepapelle.
Quest’ultimo romanzo di Enzo Randazzo è da leggere tutto d’un fiato e paradossalmente da assaporare, da gustare in un tempo,
assolutamente soggettivo. La vendetta di indomiti spiriti saraceni si concretizza in bramosie travolgenti, che sconquassano la fede dei
giovani preti di un antico quartiere saraceno.
Don Adalgiso e Fantasima saracina è un romanzo in cui i tremori più inconsci e profondi, le passioni più ossessive e turbinose si
risolvono in rapidi mutamenti di scene ed in imprevedibili sviluppi. Cristiani e Saraceni intersecano le loro vite, e le vicende di ora si
confondono con le storie di ieri, in un alternarsi di monologhi, dialoghi e riflessioni, che esaltano il piacere dell’autore nel valorizzare il
linguaggio siciliano.
Dentro una narrazione aperta ed anticonvenzionale, Enzo Randazzo affida all’espressività gestuale e linguistica dei personaggi sentimenti
complessi e contrastanti, lasciando coincidere tempo della storia e della finzione in una somma di momenti presenti. La storia è quella
dell’umana fragilità, di un tempo e di uno spazio contrisi di fronte alla caducità dell’uomo. Don Adalgiso, un prete impegnato ed “in
carriera”, si lascia tentare ed affascinare da Fantasima Saracina, un’avvenente fanciulla, probabile reincarnazione di una Principessa
Saracina violentata ed uccisa dai Cristiani, ed insieme al suo amico Don Malachia, innamoratosi di Chimera, con la complicità del suo
sacrista Onofrio e di Sonia, si dà ai bagordi. Al centro della vicenda un amore controverso e sfumato, ma violento ed estremo allo stesso
tempo. “Don Adalgiso e Fantasima saracina” racconta l’eterna lotta dell’uomo tra le sue dicotomie, tra il corpo e la mente, la passione
e la spiritualità, l’egoismo e l’amore per gli altri, la donazione e la rinuncia. Lo scrittore abbandona ogni pretesa di verità e oggettività,
cosicché nella vicenda prevale una verosimiglianza dagli esiti volutamente incerti e ambigui. Vicenda moderna, dunque, che, però, non
rinuncia a civettare con la tradizione e far proprie le astuzie più consumate della nostra tradizione letteraria. È un romanzo forte, diretto,
a tratti violento, ironico e dalle forti tinte, ma che sa leggere con sagacia nella profondità dell’animo umano.
Lando Buzzanca
Relazione a cura della Prof/ssa Daniela Rizzuto
Leggendo questo nuovo romanzo di Randazzo, ciò che immediatamente colpisce è lo scarto, la differenza contenutistica e stilistica
rispetto al precedente romanzo Sicilia my love: lì la storia era infatti giocata tutta sull’alternanza tra piano divino e piano umano, qui
invece il testo è incentrato su una dicotomia esclusivamente umana: quella della scelta tra lo spirito e la carne, tra la passione torbida e
travolgente del corpo e l’anelito alla purezza dell’anima, all’Assoluto che ci avvicina a Dio. La storia è infatti quella di un giovane prete,
Don Adalgiso, appunto, che si lascia tentare dal fascino ammaliatore di Fantasima, probabile reicarnazione di Milù, una principessa
Saracena violentata e uccisa dai Cristiani. Ora Milù è tornata, nei panni appunto di Fantasima, e si vendica dei Cristiani trascinando nel
disonore e nella vergogna un prete fino ad allora ritenuto irreprensibile e modello di vita cristiana. E’ la storia, dunque, di una Nemesi
divina (una vendetta che cade inevitabile e imperscrutabile sugli erranti) che si trasforma in sentimento puro, nel più puro fra i sentimenti,
l’amore. E’ la storia, altresì, di un grande inganno, quello perpetrato da Onofrio, il sacrista, che cerca di coprire le malefatte di Don
Adalgiso e di Don Malachia, vittime di indicibili bagordi, agli occhi di monsignor Petrone, vescovo improvvisamente ritornato dalla
Palestina. Onofrio tenta, in tutti i modi e facendo leva sulla sua discutibile arte oratoria, di nascondere la verità, facendo credere al
Vescovo che la Chiesa sia infestata di terribili fantasmi; cosa che, per tragica ironia, è una mezza verità: le due presenze “scomode”
sonoinfatti Fantasima, amante di Don Adalgiso, e Chimera, amante di Don Malachia, e risultano essere – come appare dai loro stessi nomi,
che sono appunto nomina loquentia – impalpabili presenze, quasi avanzi di Storia che non hanno corporeità fisica se non nel loro essere
tentatrici, ammaliatrici.
Il romanzo si presenta dunque come un intreccio di piani narrativi, in cui il sentimento dominante è costituito dalla paura: paura che si
sveli l’inganno, paura del disonore, paura della punizione, paura dei fantasmi, paura dell’amore, paura della vita. E l’autore, per trasmetterci
maggiormente questo ancestrale timore, il timore della vita, che è insito un po’ in tutti noi, si vale spessissimo del procedimento della
focalizzazione interna: sono i personaggi stessi a parlare, con il loro punto di vista e la loro visione del mondo, la loro vita e la loro cultura,
la loro paura e la loro forza. Essi descrivono la realtà sulla base della loro percezione, non in maniera ordinata e oggettiva, ma secondo
modi che obbediscono all’analogia ed all’aggregazione, all’associazione di idee e al libero fluire della memoria. E tutti vivono di vita
propria e possiedono un’indole molto forte, che emerge dalla loro caratterizzazione fisica e morale, ricca di notazioni psicologiche: Don
Adalgiso, prete integerrimo, poi divenuto esempio di corruzione morale e fisica, che ha percezione dell’imminente perdita di tutto ciò che
ha costruito finora (cfr. pag. 12: “E ora, tutti insieme, beni e fiducia, fama, virtù e decoro se li era giocati su un asso di cuori”); Onofrio,
prototipo di personaggio simil-furbo, che dimostra di avere carattere; Don Petrone, illustre e disincantato esponente delle gerarchie
ecclesiastiche, che mostra fino in fondo il messaggio forte della Chiesa Cristiana, che è quello dell’amore e del perdono; persino Sonia,
donna scottata dall’amore che ha imparato la lezione e ne ha fatto tesoro.La tecnica di scrittura è particolare, poichè la successione
cronologica viene spezzata dall’inserimento di flash-back: Si assiste infatti ad un intreccio di due piani narrativi, quello del presente, di
gran lunga il più evidente e il più semplice da leggere, e quello passato, un passato mitico, astorico, di Milù, che ritorna con la sua
sofferenza e il suo esempio, lei che si è sacrificata per dar luogo ad una simbiosi tra Cristiani e Saraceni; ed essi intrecciano le loro vite e
le loro esistenze proprio nel nome di Fantasima, che è sì Saracina, ma che ha fatto innamorare di sé un prete Cristiano. Per esprimere il
tormento e l’estasi di questa difficile unione fra Cristiani e Saraceni, l’autore usa uno stile spezzato, interrotto, una sintassi nominale con
frequenti ellissi del verbo (pochissimi infatti i verbi, molti i nomi e gli aggettivi), che procede quasi per impressioni visive, per immagini
colte e fotografate, per percezioni appena abbozzate; e la lettura diventa così più affascinante, più intrigante, perché spetta al lettore
cogliere i nessi fra le immagini, i passaggi mentali sottesi alle impressioni esternate. Il lessico è vario, ricco e articolato, con accumulazioni
d’effetto degli aggettivi, e dimostra la straordinaria duttilità con cui l’autore usa la lingua. Non solo: con questo lessico e con un uso
sapiente della punteggiatura Randazzo riesce a delineare scenari e situazioni con eccezionale vigore icastico, ora utilizzando scene
narrative di passaggio da una situazione all’altra, ora servendosi di gustosi dialoghi tra gli attori della storia, ora costruendo vere e
proprie “tirate” quasi shakespeariane, ora avvalendosi di vere e proprie “scenette” in cui l’autore descrive non solo il contesto, ma anche
l’espressività e la gestualità di chi parla. Anche l’ambientazione spaziale del romanzo è del tutto caratteristica ed è assolutamente in
accordo con la collocazione temporale: la storia è infatti ambientata nel borgo di Zabut, un borgo immaginario e reale insieme, che è
immerso nella Sicilia più vera ed ha il potere di evocare, con la sua storia, il passato. Il limite demarcatorio tra passato e presente viene
appunto superato dalla presenza di luoghi evocativi e direi quasi arcani. E la Sicilia viene tratteggiata dal nostro autore con amore e quasi
con venerazione, con tutti i suoi odori, suoni, colori, con la sua espressività, i suoi detti, le sue credenze folkloriche che affondano le radici
nella millenaria storia di dominazioni passate. Il paesaggio siciliano, dunque, lungi dall’essere mera cornice spaziale del racconto, perde
la semplice connotazione geografica per assurgere a simbolo universale dello scontro fra dominazioni diverse eppure uguali. Cristiani e
Saraceni sono diversi, ma sono pur sempre uomini, e come uomini agiscono in preda ai sentimenti, sembra essere il messaggio dell’autore.
Da ultimo, è interessante sottolineare come il romanzo sia tutto intriso di reminiscenze letterarie, classiche e moderne, che vengono
metabolizzate nel testo e che si scorgono solo a una lettura attenta: la beffa del fantasma è un ricordo delle commedie plautine, lo stesso
Onofrio è un degno erede del servus currens di Plauto, e la dicotomia stessa di cui è vittima Don Adalgiso è di stampo vagamente
petrarchesco (ricorda quasi le pagine del Secretum); la Nemesi divina ricorda un po’ l’Eschilo dei Persiani; sono inoltre presenti,
incastonate abilmente nel testo, citazioni varie, che prendono le mosse da Pascal, Montaigne, ecc…
“Don Adalgiso e Fantasima Saracina” è dapprima un viaggio verso l’abisso, che si trasforma poi in cammino iniziatico, un cammino che
procede per tappe, per prove ed errori. Un percorso violento, forte, tormentato, diciamo pure sconvolgente, al termine del quale il nostro
protagonista sarà cambiato. E’ un cammino verso la redenzione, verso l’Assoluto, verso un Dio puro, verso l’amore. Sembra quasi,
mutatis mutandis, una sorta di Divina Commedia, che parte da un Inferno materialistico-meccanicistico (quello dei primi capitoli), per
arrivare - alla fine - alla redenzione dell’anima, al Paradiso: non a caso, specie nella parte finale del libro traspare il leit-motiv della luce
(esattamente come nel Paradiso dantesco), e i lessemi relativi al campo semantico della luminosità sono veramente tantissimi lungo tutto
il romanzo. Romanzo che infatti si chiude con un capitolo chiamato “Alba”, quasi la speranza di un nuovo giorno, un giorno bello,
positivo, che vedrà la metamorfosi totale del protagonista, avvenuta grazie all’amore, sola forza del mondo. In un periodo di intolleranze
e di estremismi come il nostro, il romanzo, col suo messaggio di fondo, un messaggio di amore e di gioia, di integrazione e di fratellanza,
si rivela moderno e attuale, e ci fa riflettere, ancora una volta, sull’essenza dell’esistenza umana.
Daniela Rizzuto
LA MIA SEMPLICE TESTIMONIANZA SUL LIBRO “FANTASIMA SARACINA”:
Enzo Randazzo un autore eclettico.
La sua modalità di scrittura è permeata di vivaci sfumature cromatiche Che passano dalla dimensione interna a quella esterna con
estrema facilità Di comprensione.
E’ proprio questa capacità dell’autore di calarsi introspettivamente nei propri personaggi in modo singolare e accattivante che dà alla
stori la sinuosità e la ricchezza del dettaglio. Incisivo e trasgressivo quanto basta per entrare provocatorio in un mondo “conforme”,
pronto ad essere “rivisitato” e sconvolto dalle eterne e conflittuali pulsioni dell’uomo.
Amore e Dovere. Antagonismi etici che riconducono l’essenza al vero Unico grande desiderio di ogni individuo. La felicità. Un libro
moderno, provocatorio, ricco di umanità e potente senso delle contraddizioni. Contraddizioni che legano ogni pensiero umano alla logica
dei sentimenti più profondi e veri.
Un mio particolare apprezzamento all’autore che ritengo anche ottimo poeta oltre che narratore.
Linda Pisano.
”Una sfolgorante rapsodia narrativa” di Daniela Bonavia
Don Adalgiso e Fantasima Saracina è il titolo dell’ultima fatica letteraria di Enzo Randazzo, recentemente presentata ai lettori di Sciacca,
Recalmuto, Ribera e Palermo, selezionata per il premio Brignetti e, con ogni probabilità, destinata ad una traduzione ed una pubblicazione
anche in Francia. Si tratta di una storia avvincente ed intrigante, di plautina memoria, scandita da sentimenti incalzanti e contraddittori.
Una vicenda che, tra il divertito e l’ironico, invita a riflettere e ad interrogarsi sulla crisi dei preti e sul loro ruolo nella società contemporanea.
Le vicende del romanzo, sospese tra gli anni della dominazione saracena e un presente non ben definito, si snodano a Zabut, l’antica
Sambuca di Sicilia. E’ qui che “Fantasima Saracina” travolge come una folata di vento, col fuoco della passione, la vita del parroco della
Chiesa Madre, Don Adalgiso. L’ambiente che fa da sfondo alle vicende narrate è un paesino come se ne potrebbero incontrare a decine
nella provincia siciliana, ma i luoghi, i protagonisti e le loro passioni indirizzeranno da subito la mente dell’attento lettore sambucese
verso un’antica leggenda locale a cui l’autore non manca di lanciare velati ammiccamenti. Al centro di ogni riflerimento “poco
puramentecasuale”, una Chiesa, sperduta in mezzo ad un antico quartiere saraceno, invaso da fantasmi, i cui quattro parroci, succedutisi
nel dopoguerra, hanno rischiato di smarrire la loro Fede e la loro identità per colpa di bellissime donne. La storia è, infatti, quella di un
giovane prete, Don Adalgiso, che si lascia tentare dal fascino ammaliatore di Fantasima, probabile reicarnazione di Milù, una principessa
Saracena violentata e uccisa dai Cristiani. Milù, tornata, nei panni appunto di Fantasima, si vendica dei Cristiani trascinando nel disonore e nella
vergogna un prete fino ad allora ritenuto irreprensibile e modello di vita cristiana. E’ la storia, dunque, di una vendetta divina che si
trasforma in sentimento puro, nel più puro fra i sentimenti, l’amore. E’ la storia, altresì, di un grande inganno, quello perpetrato da Onofrio,
il sacrista, che cerca di coprire le malefatte di Don Adalgiso e di Don Malachia, vittime di indicibili bagordi, agli occhi di monsignor
Petrone, vescovo improvvisamente ritornato dalla Palestina. Onofrio tenta, in tutti i modi e facendo leva sulla sua discutibile arte oratoria,
di nascondere la verità, facendo credere al Vescovo che la Chiesa sia infestata di terribili fantasmi; cosa che, per tragica ironia, è una mezza
verità: le due presenze “scomode” sono, infatti, Fantasima, amante di Don Adalgiso, e Chimera, amante di Don Malachia, e risultano
essere , come appare dai loro stessi nomi, impalpabili presenze, quasi avanzi di Storia che non hanno corporeità fisica se non nel loro
essere tentatrici, ammaliatrici. Solo nelle ultime pagine il lettore scoprirà la decisione finale di Don Adalgiso, se proseguire sulla strada
della passione o fare atto di contrizione e tornare alla vita di sempre. La narrazione si svolge con un ritmo piano e gradevole, sul piano
diacronico, finché l’Autore interrompe il flusso narrativo per rivelare il passato della Fantasima: la storia d’amore fra un Principe cristiano
e una Principessa Saracena, in seguito stuprata e uccisa. Un flashback che ci porta in un’atmosfera incantata, una Sicilia piena di sole
dove si svolge l’antefatto che sembra avere messo in moto la storia. Ma anche una scena crudele grazie alla quale il lettore è bruscamente
catapultato indietro, nelle pieghe della Storia.
Notevole la profusione di elementi linguistici popolari, soprattutto proverbi, che, unitamente alla splendida descrizione dell’isola del sole,
ci consente di gustare appieno la complessa e corposa sicilianità dell’autore.
“Audace, spregiudicato, vibrante e sorprendente. Una storia d’amore e di fede intensa e lacerante. Di paure e di amori. Di misteri e
di avventure. Di rumori terrificanti e di risate a crepapelle”.
Con queste parole Lando Buzzanca, nella sua prefazione al romanzo, ci fornisce le chiavi di lettura principali dell’opera. “Fantasima
Saracina” racconta l’eterna lotta dell’uomo tra le sue dicotomie, tra il corpo e la mente, la passione e la spiritualità, l’egoismo e l’amore per
gli altri, la donazione e la rinuncia. E’ un romanzo forte, diretto, a tratti violento, ironico e dalle forti tinte, ma meritevole di saper leggere
con sagacia nella profondità dell’animo umano e di lanciare un forte messaggio di amore e di gioia, di integrazione e di fratellanza,
rivelandosi, per questo, di prepotente attualità.
Daniela Bonavia
Relazione della Psicologa Arianna Ditta
Ciò su cui oggi intendo centrare la vostra attenzione riguarda le relazioni e le emozioni. Il mio incontro con Enzo Randazzo comincia già
prima della mia presenza al mondo. È una relazione che l’autore sancisce con una grande amicizia con mio padre ed è una relazione che si
sposta quasi fisiologicamente su di me, negli anni fino ad arrivare alla scelta dell’autore di chiedere un mio contributo al suo scritto.
Evitando toni retorici ed adulatori credo si possa cominciare il racconto del suo racconto dalle emozioni datemi già dalla copertina di Don
Adalgiso e Fantasima Saracina. Una copertina che racconta già una storia. Apparentemente la storia di un uomo, un prete, ma al
contempo la storia di chi si pone interrogativi sull’esistenza, sui conflitti ancestrali tra la spiritualità e la carnalità, tra l’apparire e l’essere,
tra la fede ed una sua possibile rilettura critica. Avendo scorto nel dipinto che fa da presentazione al racconto, una somiglianza con
l’autore, lo stesso sfrontato e diretto in molte occasioni, è apparso piuttosto intimidito dall’accettarne l’analogia con se stesso. Partendo
dalla considerazione che ciò che si scrive è frutto della donazione all’altro (il lettore) di parti di sé, nella somiglianza fisica ho scorto la
possibilità per l’autore di offrire le proprie contraddizioni, le proprie umane ed intelligibili fragilità ed ambiguità. Ma vi parlavo anche di
quanto la lettura del testo mi è parsa interpretabile partendo dalle emozioni. In primis le mie emozioni nello scorrere il romanzo. L’amore tra
i protagonisti, contraddittorio, ambivalente, giocoso ed in grado di cogliere le sfumature insite in una relazione, nella quale circolano
emozioni contrastanti. La possibilità di uscire da logiche intellettualizzate, razionali e incasellanti, mi è parsa la risorsa principe del
romanzo. Lavorare sulle proprie emozioni, renderle intelligibili, senza restarne vittime inconsapevoli, appare il filo conduttore del testo.
Don Adalgiso è contrastato tra la fede e l’amore terreno, due forze inconciliabili ed immobilizzanti. Così anche Fantasima, accecata dalla
passione e resa umana dalla difficoltà di accettare la rinuncia. Don Adalgiso e Fantasima Saracina è un romanzo da leggere tutto d’un fiato
e paradossalmente da assaporare, da gustare in un tempo, assolutamente soggettivo. La storia è quella dell’umana fragilità, di un tempo
e di uno spazio contrisi di fronte alla caducità dell’uomo. Nel romanzo si legge di passione, di spiritualità e di crisi, ma si inerpica tra le righe
del racconto una profonda, colorata, sicilianità. E’ una Sicilia fatta di odori, di sapori e di colori, di detti e di espressioni, quella raccontata
da Randazzo. E’ una incarnazione della stessa ancora più forte, umana e contraddittoria fino all’essenza delle sue viscere.
Una sicilianità incarnata da Don Adalgiso. Un prete, ma soprattutto un uomo. Un uomo in contrasto tra la fede per la sua Chiesa e la
passione folle, viscerale ed intensa per una donna. Tra la spiritualità e la carnalità. Quale tra le due avrà la meglio è compito del lettore
scoprirlo, ma ciò che più attrae del romanzo è la possibilità di una sua collocazione temporale assolutamente imprevedibile.
È un romanzo potenzialmente collocabile in uno spazio tempo che raccorda presente, passato e futuro. Ciò a cui rimanda la lettura
sono,infatti, luoghi e contesti, spazi, colori e sapori facilmente rintracciabili nel nostro passato più arcaico, nelle nostre arabeggianti
radici, nelle nostre “paesane” dimensioni e diversità.
Ciò che colpisce del racconto è, in particolare, la figura di Fantasima. Donna – spirito dalla personalità intrigata ed intrigante. Tentatrice,
seducente e contraddittoria come solo una donna sa essere. Dolce, tenera ed accogliente come solo una donna che ama può divenire.
Fantasima incarna un ideale che è anche corporeo, tangibile e materiale. È indebolita dall’amore e fortificata dalla delusione dell’abbandono.
È un masso impazzito, staccatosi da una montagna, in grado di trascinare dietro di sé tutto ciò che incontra sul suo cammino. È una
femminilità che sa di cunicoli, di meandri sotterranei ed impervi, ma a cui l’amore dà luce e dimensione terrena. È una donna che può
diventare una piuma leggera e incorporea, se confermata nei sentimenti e dall’amore. L’amore per Adalgiso. Un amore controverso e
sfumato, ma violento ed estremo allo stesso tempo.
“Fantasima Saracina” racconta l’eterna lotta dell’uomo tra le sue dicotomie, tra il corpo e la mente, la passione e la spiritualità, l’egoismo
e l’amore per gli altri, la donazione e la rinuncia.
E’ un romanzo forte, diretto, a tratti violento, ironico e dalle forti tinte, ma meritevole di saper leggere con sagacia nella profondità
dell’animo umano.
Arianna Ditta
Relazione prof. Paolo Francolino
E’ per me un grandissimo onore e un grandissimo piacere presentare qui, in questa sala, l’ultima fatica letteraria dell’amico Enzo Randazzo,
il romanzo don Adalgiso e Fantasima Saracina. E’ un’opera avvincente, capace di attirare l’attenzione del lettore e portarlodietro di sé in
avvicendarsi di avventure, di sensualità, di fede, di amore. E’ un’opera che sembra una favola, mista però a fatti reali. Egli prende spunto
dal fatto che a Sambuca esiste una chiesa i cui preti per motivi diversi hanno abbandonato l’abito talare per legarsi a delle donne
passionali, avvalorando così la leggenda della principessa saracena Milù, che, rapita, violentata e uccisa da sei cavalieri cristiani, prima
di morire promette di vendicarsi facendo perdere la fede ai preti cristiani, legandoli indissolubilmente a delle donne bellissime.
Secondo i racconti dei Sambucesi, ogni tanto, nelle notti di luna piena, si vedono dei fantasmi che errano per i vicoletti del paese, e
particolarmente si nota il fantasma di una fanciulla diafana, che appare e scompare attraverso la cosiddetta via dei Fantasmi, uno dei sette
vicoli che si inerpicano nella parte alta del paese.
La storia prende spunto da vicende realmente accadute per tuffarsi nelle leggende.
E’ la storia dell’amore tra un giovane prete, don Adalgiso, e una giovane parrocchiana bellissima, di noma Fantasima.
Colpisce subito l’allegoria dei nomi: Fantasima, Lucciola, Falena, Chimera, Petrone, Onofrio, Malachia, ecc. Ogni nome cela un significato
nascosto: possiamo capire da ciò che l’Autore ha studiato a fondo la sua materia, curando ogni minimo particolare e ogni minuzia.
Ogni particolare del paesaggio siciliano viene illustrato e descritto con precisione e puntualità e si adatta allo stato d’animo del personaggio
narrato con precisione e puntualità:
“La vista dell’Anguilla le dava un senso d’armonia, di vivacità e di singolarità. Si sentiva in pace con se stessa. Il suo sguardo spaziava
tra colori vivaci ed allegri, che prefiguravano sensazioni nuove ed interessanti e fuggiva invece i campi non coltivati, la cui visione le
cedeva un senso di disordine, di casuale dissonanza, di piattezza, di prevedibilità che la faceva sentire a disagio. Il paesaggio intorno era
equilibrato e ardente e produceva in lei sentimenti di calma, di sicurezza interiore e godimento estetico.” ( pag. 87)
La scoperta dell’amore di Fantasima suscita in don Adalgiso gioia e confusione: “ Lui non si sentiva più un sacerdote disposto a
spendersi nel servizio e nell’amore, ma un fragile essere umano, alla disperata ricerca di una identità smarrita, senza Fede né certezza.” ( pag. 11)
C’è nel romanzo un accostare di parole che sembrano contrastare tra loro e che suscitano sentimenti opposti: “ Non aveva fermentato
nei fedeli libertà, purezza, plenitudine, ma ne aveva visualizzato i limiti, le immobilità, gli oggetti per chiudere ed oscurare” (pag. 21) “
Ostentava spavalderia e menefreghismo, ma in lui affioravano anche disorientamento e vistosi cali di zucchero.
Per mesi aveva rifiutato la società degli uomini, l’universo, le leggi della Chiesa, la memoria della Storia, le Fedi troppo distanti e le certezze
troppo vicine, le religioni impure e le rivoluzioni inutili, perché non gli sembravano verità: La sua esperienza con Dio gli aveva fatto
comprendere il senso più profondo del male, ma l’amore per Fantasima aveva fatto naufragare la sua fede” (pag. 49)
Oppure a pag. 70: “La tua presenza mi fa desiderare la tua assenza” “Don Alfio avvertiva una spinta interiore ad abbandonare il campo,
ma un sentimento di orgoglio e di dignità lo tratteneva” ( pag.77)
Abbiamo anche dei richiami letterari come quello ai Promessi Sposi nel presentare la figura del vescovo Alfio Petrone a pag. 78: “
Monsignore con un cuore d’asino cocciuto e un altro di lepre, accennava alla fuga ed indugiava altrove”.
A dimostrare che Enzo Randazzo è legato alla sua terra e alla Sicilia in particolare c’è una ricchezza di detti o di proverbi siciliani, che
richiamano quelli pronunciati da padron Ntoni nei Malavoglia di Verga.: “Piegati giunco che passa la piena”, “ Il corvo è diventato nero
per prendersi il pensiero che non gli apparteneva”, Quando il gatto non c’è, i topi ballano”, “Ogni lasciato è perduto”, “Buon tempo e
maltempo non durano tutto l’anno”, “ Non riusciva a fare un occhio a una pupa”, “ Nero su nero non tingi”, “Barca che ritarda giunge
carica”, “ Era lui il muro basso su cui scaricare ogni peso”, “Chi sputa in cielo in faccia gli torna”, “ Più gracchi come una cornacchia
spelacchiata e più ti cucini chiodi”, “ Una menzogna servita bella calda è sempre la migliore soluzione per cavarsi di impiccio. Quello che
suggeriscono i venti, bisogna dirlo”.
Potremmo continuare con altri proverbi o detti popolari, derivanti dalla saggezza di secoli, ma credo che quanto riportato sopra basti a
provare la ricchezza di espressione e la capacità di riflessione del nostro Autore.
Altro elemento che mi ha colpito nella lettura di questo romanzo è la ricchezza di richiami e di echi letterari che riaffiorano nell’opera: il
docente di italiano e latino affiora sempre in superficie. Basti pensare alla trovata di Onofrio il sacrestano per allontanare il vescovo
Petrone dalla sacrestia: essa non è altro che una rilettura in chiave moderna della commedia di Plauto, la Mostellaria, in cui Onofrio fa la
parte, ingigantendola, del servo Tranione. Ci sono anche richiami a Catullo per “ le tasche piene di ragnatele”. Ho già accennato ai
Malavoglia di Giovanni Verga, ad Alessandro Manzoni dei Promessi Sposi, c’è anche la parodia ironica della canzone All’Italia di
Giacomo Leopardi: ”Presto a me i sandali, che io impugni la spada”(pag.52).Si rifà anche a Tomasi di Lampedusa del Gattopardo, a
Leonardo Sciascia. Non a caso per la maggior parte autori siciliani. E alla Sicilia, alla lingua siciliana, il Nostro è legato. Basta citare qualche
esempio: pag.77:” Sentiva vagamente puzza di bruciato, ma non riusciva ad individuare donde provenisse il fumo” o a pag.103:” Mi sto
sfirniciando che nome abbia mai” o a pag.111:” A vescovi, monaci e parroci, è giusto vedergli la messa e spezzargli i reni”, “Batti moneta
falsa come un fabbro” o a pag.117:” Hai un cervello così terra terra, che, quando hai mal di testa, ti metti l’aspirina nelle calze”.
Notevole la ricchezza di similitudini:” Come una partoriente di parto rischioso, un soldato che stia per entrare in una battaglia sanguinosa,
un navigante che intraprenda un viaggio a rischio di non naufragio, un condannato a morte… tremava da una spalla e biascicava con
affanno” (pag.62) o a pag.66:” Era riuscito a suscitare nell’animo dell’amico moribondo atti di contrizione, di fede, di carità e di speranza,
così intensi e profondi di fargli desiderare di congiungersi con Dio, come un cervo desidera l’acqua di una sorgente di montagna” “
Onofrio oracolava come una Sibilla cumana . Quasi una gabbia avvolgente protesa su un gatto selvatico, pronto a graffiare, impietoso”
a pag.75 o a pag.108:”Si sosteneva come un sasso in equilibrio precario. Come una foglia nel vento Settembrino. Come un chiodo in un
pannello di gesso. Come una goccia di inchiostro sulla punta della penna”. o a pag.150: “Voleva essere uno sciame di api radunatesi a far
miele e non un mucchio di vespe accorse a succhiare una carogna imputridita”.
Come si vede sono tutti esempi tratti dalla vita di ogni giorno o dalla tradizione letteraria e dalla osservazione attenta e minuziosa dei
particolari.
L’Autore è capace di passare da argomenti del passato, la conquista araba, il dominio dei signori in Sicilia, a fatti recenti e moderni:
svalutazione del reddito, dovuto all’introduzione dell’euro, rincaro dei prezzi, problema della droga, piaga sociale e giovanile, la lega
lombarda, la figura del giudice Di Pietro: “ Mica li ha fatti un barbaro di artigiano leghista” (pag.113), o a pag. 150: “ I processi costano un
mucchio di quattrini, ed alla fine, anche chi vince ne esce con le ossa rotte: Se ne è convinto anche Di Pietro che li istruiva”
Abbiamo anche un’attenta ed ironica analisi della psicologia dei personaggi: ”I preti, anche quando non hanno colpa, temono ugualmente
il castigo dei Vescovi. Sono i più conigli ed i più utili idioti: Se vengono scoperti, rinnegano l’amore e tagliano la corda. Regalano guai
non piacere”.( Pag.116-117)
L’amore di don Adalgiso con Fantasima Saracina muta completamente la vita della piccola parrocchia: la chiesa diventa luogo di lussuria,
di bagordi, di divertimenti, cui vengono invitati tutti i peggiori individui. A nulla servono le lamentele e i richiami di Crocifissa o il timore
del ritorno del vescovo Petrone, lontano dalla sua diocesi. E quando arriva il vescovo, tocca al sacrestano Onofrio cercare di districare
il bandolo della matassa, ed in parte ci riesce, servendosi dell’esempio offerto dal servo Tranione nella Mostellaria di Plauto: parla di
apparizioni di fantasmi, di debiti da pagare allo spacciatore Emilio ( che il vescovo reputa un usuraio, come gli ha fatto credere Onofrio),
di nuove case da comprare e poi, per aggiungere il carico, fa visitare al vescovo la casa del vicino Biagio, come se fosse la casa che ha
deciso di comprare don Adalgiso.
E, quando il vescovo, dopo che è stato tormentato per tutta la notte dai fantasmi suscitati dalla fantasia inesauribile di Onofrio, scopre
tutto, ecco che c’è il provvidenziale intervento della donna, l’avvocatessa Liliana, “ la cui carezza era una spaziatura tra il desiderio che
attivava ed il compimento di un sogno e risultava un enigma, una tempesta per don Alfio” (pag.159)
Al fascino di Liliana, il vescovo Alfio Petrone non sa e non può resistere: “ alla sua età anche il senso che scaturiva dal corpo di lei gli
dava una sensazione di possesso e di appagamento. (ivi) E sarà Liliana che convincerà il vescovo a perdonare, a convincere don
Adalgiso a lasciare Fantasima Saracina: E questa che comprende tutto: “ Guardava fissa ed attonita e cercava di eclissarsi come
spaventata dal chiarore del sole, tornava Fantasima di nome e di fatto. Di sogno e di fantasia…. Di dentro avvampava di calore, ma un
sudore crescente le infrigidiva la fronte giallognola e le illividiva le labbra; i pori della bianca pelle erano aperti, respirava con affanno
l’aria e tremava da una spalla. Torceva la bocca e stralunava gli occhi con un giro violaceo intorno al nero della pupilla. La notte della
morte rientrava prepotentemente nella sua esistenza , per riportarla nell’infinito notturno, in una luce imperturbabile e senz’ombra.” (
pag.160) E’ quasi l’inizio della fine: don Adalgiso è cosciente di avere peccato, vorrebbe ritornare a Dio, ma, nello stesso tempo, non vuole
rinunciare alla carne:” Aveva sete di riunirsi con Dio. Nei riguardi del Vescovo provava rispetto, deferenza e gratitudine, ma anche un
sordo rancore per avere spezzato bruscamente la sua meravigliosa storia d’amore. Contro l’odio che sentiva insorgere prepotente verso
la sua guida spirituale voleva fare atti di amore e di perdono per amore di Dio..Era diventato un cattivo prete “ (pag.144) Ma Fantasima
Saracina è sempre presente in lui: ”Mai avrebbe potuto cancellare la dolcezza del suo sorriso aperto e coinvolgente, la sua voglia di
vivere, contagiosa e vivificante e le sue inspiegabili malinconie “
Alla fine torna la coscienza di sé, del proprio essere sacerdote, la consapevolezza che “ aveva pensato che il legame che si era stabilito
tra loro sarebbe stato indissolubile ed eterno…invece era niente. Uno squallido niente come tutte” le miserie di questa terra. Una storia
senza testa né coda , anche se Fantasima sarebbe rimasta una goccia d’acqua dissetante nell’arsura della sua anima” ( pag.167) La
conclusione è che “ solo Dio e l’amore divino può essere eterno. Il resto è sottoposto all’insidia dell’usura del tempo e dello spazio, ai
calcoli degli egoismi e delle convenienze” (pag.168) Tutto nel piccolo paese ritorna come prima: il vescovo ridiventa il pastore delle anime,
sicuro predicatore del verbo di Dio, don Adalgiso “conduceva una vita di angelo e d’anacoreta per la ricerca della solitudine… era
diventato severo ed inesorabile contro la licenza , la tracotanza ed il lusso dei potenti” Però quando tutto sembra ritornare al punto di
partenza, ecco che don Adalgiso viene ripreso dalle arti di Fantasima, è lui stesso a cercarla, dopo notti insonni, perché “ nessuno è più
pazzo di un giovane prete pazzo di una donna” La conclusione del romanzo è che la morte “ sembrava vincente sullo smalto della loro
passione. Ma l’autenticità aveva avuto la meglio sulle pigrizia delle abitudini e dell’ipocrisia. Sui vincoli dei ruoli e delle comodità. La vita
e l’amore sono più forti dell’apatia e della morte: Quelle della morte sono solo vittorie apparenti. Momentanee ed effimere. Anche se il tarlo
di una malattia , la paura della verità, l’indolenza dell’accidia sembrano trionfare, la vita ricompare irruenta ed inarrestabile” (pag:190) Ed
è questa conclusione che fa riflettere sulle crisi delle vocazioni religiose e sul matrimonio dei preti. Un libro da leggere e da far leggere, per
riflettere e far riflettere
Paolo Francolino
RELAZIONE di Nino Rosalia
Premessa: Apprezzamenti e condivisioni
Introduzione
Il romanzo: a-aliena; b- coinvolge; c – affascina; d – sconvolge
Note conclusive
Premessa: Apprezzo in particolare valutazioni di : Paolo Francolino, Daniela Rizzuto, Arianna Ditta, Simonetta Genova.
Introduzione: Il romanzo “Don Adalgiso e Fantasima Saracina” aliena, coinvolge, affascina e sconvolge il lettore, che si cala in un
ambiente tipicamente siciliano e in un contesto sempre attuale, intriso di cultura, storia e spiritualità materializzata. In ventidue capitoli
Enzo Randazzo scandaglia l’animo dei suoi personaggi, travagliati dal contrasto tra il perseguimento e la diffusione dei valori morali e
sociali e la cosiddetta debolezza dell’uomo, rappresentata dalla fragilità di ben quattro parroci tornati allo stato civile nel secondo
dopoguerra a causa dell’arte ammaliatrice delle donne a Zabut ( Sambuca di Sicilia).
A - Innanzitutto aliena il lettore con la freschezza e la crudezza dello stile con cui presenta la realtà in cui si snocciolano le varie vicende:
descrive nel capitolo XIII la bella e accattivante principessa araba Milù, che col suo piacere accomunava Siciliani ed Arabi. Cosa che
turbava la vita del Barone di Pandolfina, il quale sognava e architettava la sua eliminazione per risvegliare l’identità dei due popoli e
favorire la cacciata degli Arabi.”L’Isola del Sole era davvero un ‘ Arabia più dolce e sensuale: più violenta nei colori, ma tanto più
fresca di ruscelli e sorgenti”.
Ancora nel cap. XIX tutto l’orrore e lo “schifo” provato da Milù, stuprata da sei cavalieri cristiani in difesa della fede, viene descritto
come segue: ”Si sentiva spezzata. Frammentata. Dilaniata Nullificata. Macerata in scaglie di pelle, non più. Niente è come uno
stupro.[…] Senza midollo spinale. Come camminare all’indietro verso un alito di vento nei capelli. Una violenza nella violenza
nella volontà. Una distruzione della dignità personale. Della sua stessa identità. Un senso di vertigine. Si sentiva fredda come la
morte. Un desiderio di vomitare subito e tutto. Incessantemente . Gli umori . La pelle. Il sudore. La carne. Tutto ciò che era costretta
a ingerire”
Anche nel cap. XX l’autore rappresenta i luoghi e le persone del paese e, soprattutto, gli uomini di chiesa contriti pubblicamente, nella
solenne cerimonia e processione di purificazione. I Vicoli Saraceni impestati di demoni e fantasmi, che deviano le anime pie. Il rito
celebrato in modo coerente con il contesto storico del nostro tempo, assume valenze temporali che richiamano lo spirito religioso e
sociale dell’epoca araba in Sicilia. Il contrasto tra la solennità della cerimonia, in cui i “religiosi traviati” ritornano alla casa del Padre e
mostrano la loro contrizione alla comunità, e la miseria, l’abbandono e la desolazione delle casupole e dei vicoli stretti, esorcizzati
pubblicamente dal vescovo Petrone, immergono il lettore in un ambiente surreale, pervaso di fioche luci, di gesti ieratici che estraniano
il lettore dalla realtà. “In Vicolo Saraceni VI, a confinare con la Via Fantasma, la processione si infilava in una strettoia e doveva
procedere , quasi in fila indiana , tra antiche stalle ad altezza d’uomo e abitazioni fatiscenti, con vistose crepe sui muri. Queste
casupole erano il cuore dell’antico villaggio saraceno, in seguito abitate dai contadini ed, infine, abbandonate per il terrore dei
fantasmi. Monsignore si fermava all’angolo, di fronte ad una vecchia pagliera, protetta da una grata di ferro pieno, e la aspergeva
ritualmente con acqua benedetta,quindi si inginocchiava, imitato dal Clero e dai fedeli, ed esorcizzava gli spiriti malefici che i
contadini vedevano uscire nelle albe nebbiose. Adiuro vos ommnes immundi Spiritus, cogo et compello per Eum qui erat et est qui
venturus est...tuonava il Vescovo, in nome di Nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha creato e redendo con il suo sangue tramite Croce,
morte, sepoltura e Resurrezione, nel nome di sua Madre, la Beata Vergine Maria, nonché dei Santi Ubaldo ed Antonio.
B -Anche se già ha coinvolto il lettore, nel momento in cui l’ha alienato, in particolare Enzo Randazzo lo avvinghia nei colloqui
scoppiettanti tra il sacrista Onofrio e Crocifissa, Onofrio e il Vescovo e tra Chimera e Fantasima. L’arguzia e la diplomazia sfacciata di
Onofrio trascinano il lettore nel turbine delle parole ad effetto, tipiche della cultura e dell’idioma siciliani.Nel cap. II Crocifissa si rivolge
a Onofrio:” Piegati giunco che passa la Piena! Ti decidi ad uscire, razza di furfante, invece di rintanarti lì tra le padelle a grugnire
veleni e a sfoggiare battute di spirito contro di me?Vieni fuori pezzo di consumapreti! Per tutte le rape secche! Se campo e divento
quella gran signora potente che sogno, te la farò pagare! Esci via da quella cucina asfissiante e puzzolente. Perché ti nascondi?
Il sacrista ribatte, mostrando tutta la sua mordacità:” Maledetta campagnola, cosa hai da sbraitare. Sei più stomachevole di un infarto
di notte! Ti credi di essere tra i porci? Stai lontana da questa sacrestia. Vai a farti inchiodare al vallone del Pisciatoio! Tirati via da
questa porta.[…] Che ti possa venire una pepita pulcinara sulla punta della lingua! Puh! Hai l’alito che puzza di aglio. Sei peggio
di un letamaio rustico, di una capra rampante, di una ghianda da porcile, di una cagna in calore, in un impasto di fango e di sterco!
Gallina petulante… prima o poi muore!
Crocifissa: “ Per tutte le rape secche! Hai ancora l’impertinenza di sfidarmi! Credo che questo epiteto di lazzarone sarà tua prerogativa
fra non molto.Ti vedo già pezzente e mendicante agli angoli delle strade. […]Continua: Buon tempo e maltempo non durano tutto
l’anno.Ciò che ti spiace arriva prima di quel che desideri avidamente”.
Tra Fantasima e Chimera nel cap. XII , scoppia un furioso litigio per la difesa del proprio amore: per Don Adalgiso si batte la prima, a
favore di Don Malachia la seconda, ormai in via di sfaldamento a causa del prematuro ritorno del Vescovo. Anche in questa circostanza
l’autore usa un linguaggio molto colorito e coinvolgente. Ad esempio mette in bocca a Fantasima:” … e fai la faccia feroce, perché ti
illudi che Don Malachia ti voglia ancora bene. Ma sei solo una piccola Saracina velenosa. Se una zanzara ti mordesse, sarebbe lei
a rimetterci il sangue.” Tra l’altro Chimera: “Finché non sei arrivata tu , non avevo mai visto una zucca con le gambe. Per fortuna Don
Malachia mi conosce bene e non considera i tuoi giudizi”.
Il colloquio tra il vescovo Petrone e Onofrio, il quale nel cap. VII con la sua astuzia riesce a fargli credere ( anche se non totalmente) che
nella sacrestia vi sono i fantasmi, e si arrabatta in ogni modo per nascondergli le proprie malefatte e la vita disordinata dei preti con i
relativi indebitamenti, è un inno all’arguzia ed alla spregiudicatezza. In questa fase il lettore non può staccarsi dalla lettura fino alla fine
della vicenda. “ O monsignor Alfio! O Petrone! Non l’avevo riconosciuta! Sono felice che lei sia arrivato sano e salvo. E’ stato sempre
bene?” S’inchinò quindi a baciargli l’anello di ametista, profondendosi nelle consuete, esasperate manifestazioni di ossequio. [ …].
“ Mentre lei era laggiù a predicare la sua fede , questa è diventata la Chiesa dell’oblio. Dentro c’è una Fantasima diversa, metà
donna e metà animale. Vive da sola al buio. L’alito della sua carne non esala una sola ombra. E’ crudele, violenta, cattiva. Ma è
anche pura perché non corrotta da nulla.” […] Don Alfio era sempre più scosso e turbato. Aveva sentito dire dagli anziani della
parrocchia di una bellissima fanciulla , che, all’alba, circolava tra i Vicoli Saraceni e scompariva ai raggi del sole, ma aveva sempre
supposto che fossero fantasticherie.” Nel cap. VIII il vescovo , pur non volendo arrendersi alla realtà di trovarsi davanti a diversi
fantasmi, è tormentato e atterrito da incubi, da sudorazioni gelide e da immobilità terrificante. Ad un certo punto del capitolo si legge:”
La sorpresa lo immobilizzò e lo stordì. Rimase come pietrificato. Aveva la lingua paralizzata. Il suo viso era lungo e malinconico, con
un’ombra sotto il naso. […] Il vescovo si contraeva sul letto per questa sensazione glaciale, impallidiva e le braccia gli cadevano sui
fianchi. Anche se [ lei] gli sorrideva amichevolmente, era assolutamente terrificato.
C- Il romanzo affascina con la sua trama semplice ma profonda nello stesso tempo: semplice perché non contiene intrecci cruenti,
intrighi politici e finanziari e viaggi o avventure; articolata in quanto scandaglia lo spirito e la carne dei suoi personaggi, mettendo a nudo
tutte le debolezze umane e gli errori storici e attuali dell’umanità, soprattutto, nei rapporti tra le varie civiltà. Tema molto attuale: il
Cristianesimo che si confronta con l’Islamismo. La vicenda si snoda nelle case e nelle vie di Zabut (Sambuca di Sicilia). La passione
affettiva verso donne (fantasime) s’impersonifica nei preti, che gozzovigliano, si drogano e vivono in modo spensierato in paese, con
l’aiuto del factotum sacrista Onofrio. Il tutto s’interrompe quando il Vescovo, in missione in Palestina, all’improvviso rientra, creando
scompiglio negli amori e, soprattutto viene a conoscere l’esistenza di debiti causati dall’acquisto della “roba”. Il prelato conoscendo le
proprie miserie (passione, avidità per il danaro, golosità, ecc) perdona i suoi sacerdoti ed il sacrista e promuove una solenne cerimonia di
ammenda e purificazione pubblica, seguita da una esorcizzazione dei luoghi saraceni e impestati da fantasmi , causa di depravazioni dei
religiosi. Don Adalgiso alla fine…. [ e’ meglio che il lettore conosca la conclusione da sè…]
D -Don Adalgiso e Fantasima Saracina per la sua crudezza e schiettezza usate nella descrizione dei rapporti sessuali, vorticosi dalla
veemenza degli stimoli della carne e dal bisogno di affetto reciproco, sublimato nella prolungata attività disinibitoria dei due protagonisti,
sconvolge e turba la sensibilità del lettore “ per bene” . Il romanzo si apre proprio con l’esaltazione del contrasto tra l’esigenza della
carne dei due innamorati e la proibizione dello stato clericale del prete, ma non traspare durante l’amplesso come impedimento all’effusione
dell’amore, come maggiore attività e pacatezza alla conclusione dello stesso. Turba la violenza esercitata dai cavalieri cristiani
sulla principessa araba Milù, perpetrata solo per combattere una guerra santa, evitare la fusione delle due culture in occidente e
soprattutto per cacciare gli Arabi dalla Sicilia. Sconvolge la cattiveria e insensibilità di questi uomini. Anche il comportamento di Onofrio
in diversi passi del romanzo è sconvolgente, a volte ripugnante. In particolare quanto cerca di imbrogliare il Vescovo con il falso
compromesso dell’acquisto della casa di Biagio ed il tentativo di coinvolgere chiunque nel suo losco affare pur di salvarsi dalle ire del
suo superiore. Tesse una tela di intrighi e di fandonie, pur sapendo che il vescovo difficilmente vi s’impigli.
Note conclusive. Anche se Dio nel romanzo sembra che sia onnipresente, tuttavia non emerge nelle situazioni critiche dei personaggi,
soprattutto in Don Adalgiso, sempre in balìa dell’eterna lotta tra la carne e la sua missione sacerdotale. Appare il prete quasi
sempre indifeso e debole; poco dedito al dialogo con Dio. Questo lo rende sempre più umano e fragile. Nell’affetto o nella passione verso
Fantasima trova se stesso e si realizza in quanto uomo. Nel romanzo pertanto emerge un alto livello di conoscenza umana da parte
dell’Autore.
Pavia 17. 02.2006 Milano 19.02.2006
Nino Rosalia